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Etiopia e Tigray: la guerra che sta devastando il Corno d'Africa

Scontri politici e profonde differenze etniche hanno causato il conflitto interno al territorio etiope

Tigray Etiopia
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Da novembre 2020 l’Etiopia e la sua regione più settentrionale, il Tigray, sono coinvolte in uno scontro armato che ha devastato il territorio e causato povertà. Centinaia di migliaia di persone rischiano di morire di fame ma il perdurare del conflitto rende difficile l’intervento delle organizzazioni umanitarie. Una crisi che ha coinvolto l’intero Paese e che non sembra dare segnali di risoluzione.

Le origini del conflitto – Le radici dello scontro risalgono al novembre 2019, quando il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed in accordo con la coalizione di maggioranza (il Fronte Democratico Rivoluzionario Etiope, formato da quattro partiti) ha deciso di fondare il Nuovo Partito della Prosperità (PP). L’iniziativa, promossa in vista delle elezioni inizialmente previste per il maggio 2020, non ha convinto tutti.
Ad opporvisi è stato uno dei quattro membri del Fronte Democratico, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF), che ha dichiarato illegale la prospettiva di un partito unico e ha ufficializzato la volontà di non farne parte. Alla base di questa scelta l'ordinamento dello Stato etiope: si tratta infatti di una repubblica parlamentare federale formata da stati su base etnica. Il timore del TPLF è che l'istituzione del Partito della Prosperità potesse mettere a rischio la tutela di tutte le minoranze, venendo meno alla natura federale del Paese. 

 

La questione etnica – La contrapposizione tra le due parti ha origini più profonde. I tigrini hanno governato il Paese per quasi 30 anni, nonostante rappresentino solo il 6% della popolazione: sono un’etnia egemone ma non maggioritaria. È dal 1991 che rappresentano la forza dominante nella coalizione di governo dopo aver sconfitto il Derg, il governo militare provvisorio dell'Etiopia socialista. L’egemonia tigrina è terminata nel 2018, quando è stato nominato Primo Ministro Abyi Ahmed, il primo di etnia oromo (prevalente in Etiopia ma al tempo stesso marginalizzata). Solo allora i rapporti tra Addis Abeba e il Tigray si sono deteriorati e sono emerse accuse di corruzione e arresti da parte del governo, di ostruzionismo da parte tigrina.

 

Lo scontro sulle elezioni – La pandemia di Covid ha reso necessario rinviare le elezioni del 2020, garantendo al governo un’estensione del proprio mandato fino a data da destinarsi. Il TPLF ha reagito organizzando in autonomia le elezioni regionali in Tigray, dichiarate poi illegali dal primo ministro Ahmed che ha vietato ai giornalisti di recarsi sul posto per documentarle.

 

L’esplosione dello scontro – Lo scoppio del conflitto è avvenuto il 4 novembre 2020. Ahmed ha dichiarato guerra al governo locale del Tigray, ordinando un’operazione militare e imponendo lo stato d’emergenza sul territorio regionale. Secondo quanto riportato dall’Agenzia ONU per i rifugiati, oltre 7.000 civili sono fuggiti verso il Sudan, dando inizio a uno sfollamento durato mesi. Gli scontri si sono inaspriti nelle settimane successive: il 14 novembre le milizie tigrine hanno lanciato due razzi contro Asmara (capitale della confinante Eritrea), rischiando così di trasferire il conflitto su un piano internazionale. A dettare l’attacco la convinzione del TPLF che soldati eritrei stessero combattendo accanto a quelli etiopi, ipotesi confermata dall’Etiopia stessa dopo mesi di pressioni internazionali.

 

La fine della guerra – Il 22 novembre Abyi Ahmed ha invitato il Fronte di Liberazione del Tigray alla resa pacifica con un ultimatum di 72 ore, allo scadere del quale ha dato ordine di lanciare l’offensiva finale. Il governo è entrato nella capitale tigrina Makallè, ponendo fine al conflitto. Ha iniziato così a delinearsi il rischio di una nuova fase, quella della guerriglia.

 

L’emergenza umanitaria – Dall’inizio degli scontri la regione del Tigray vive una condizione di duro isolamento: i militari etiopi hanno impedito da subito l’accesso alle vie di comunicazione e la distribuzione di aiuti umanitari alla regione. Amnesty International ha parlato di “massacro di civili” in merito alle prime giornate di offensiva militare da parte del governo.
Nonostante l’Etiopia abbia vinto la guerra contro il TPLF, si stima che oltre un milione di persone sia ridotto alla fame e che migliaia di donne e bambine siano vittime di stupri, usati come vere e proprie armi di guerra.
Secondo un’analisi dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) – incaricata di studiare i livelli di carestia nel mondo – circa 5,5 milioni di persone stanno affrontando alti di livelli di insicurezza alimentare e si calcola che, in mancanza di interventi umanitari immediati, a settembre 2021 oltre 400mila persone potrebbero trovarsi in condizioni di carestia.

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