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Dimenticati nei campi profughi in Kenya, Msf: "Restituiamo dignità ai disperati in fuga dalla violenza in Somalia"

Lʼong racconta condizioni di vita al limite per i 75mila che popolano le baracche di Dadaab, tra dosi di cibo insufficienti, cure mediche difficili e classi sovraffollate nelle scuole

Povertà e disperazione tra le baracche di Dadaab

Sono in fuga dalla Somalia e dalla guerra e nel campo profughi di Dadaab, in Kenya, trovano rifugio e la speranza di una vita migliore.

Ma quella distesa sterminata di compound è diventata ormai invivibile. Le possibilità di reinsediamento ormai ridotte al lumicino contribuiscono al sovraffollamento del campo, dove i disperati continuano ad arrivare e dove gli aiuti sono invece in forte diminuzione. A denunciare la situazione allarmante è l'ong Medici senza frontiere.

Janai: "In 30 anni la vita è peggiorata" Janai Issack, 10 anni quando è arrivata nel campo, nel 1991, a Dadaab si è sposata e ha dato alla luce i suoi figli, che qui vivono ancora oggi. "La vita era migliore 28 anni fa, al mio arrivo - racconta -. Abbiamo trovato sicurezza e il sostegno delle organizzazioni umanitarie". Con il passare degli anni, i servizi sono andati diminuendo: dalle razioni alimentari ai mini,mi termini, alle classi delle scuole sovraffollate, All'Unhcr ci chiedono continuamente se vogliamo tornare in Somalia: la risposta è sempre no. Anche i reinsediamenti si sono fermati: sembra che nessuno da qui vada più da nessuna parte". 

 

Poco cibo e poche cure mediche A Dadaab, dove vivono 75mila persone, ci sono tante storie come quella di Janai, tra dosi di cibo sempre più povere e un sovraffollamento che impedisce condizioni di vita dignitose. Abdia, 65 anni, fuggito dalla Somalia nel 1991, racconta: "Vent'anni fa la mia vita era migliore. Le razioni alimentari sono molto limitate, come anche i nostri movimenti e i servizi", Per i rifugiati senza documenti, la lotta per accedere ai servizi di base nei campi è quasi senza speranza. Secondo l'Unhcr ci sono almeno 15mila richiedenti asilo non registrati nel complesso di Dadaab e solo la metà di questi disperati riceve assistenza alimentare adatta a persone nella loro situazione, vulnerabili e particolarmente fragili. 

 

Povertà e tentati suicidi C'è chi, come Abdo Mohamed Geda (42 anni), nel campo dal 2011, ha cominciato a svolgere lavori umili per integrare le razioni alimentari insufficienti: porta lega da ardere per dare da mangiare ai suoi otto figli. Persone ai limiti della sopravvivenza come lui sono spesso vittime di malattie mentali: Medici senza frontiere ha curato alcuni pazienti che, nel campo avevano tentato il suicidio. Uno di loro aveva avuto la sua tessere per il cibo bloccata nel 2018 e sopravviveva grazie all'elemosina degli altri. 

 

Msf: "La comunità internazionale intervenga" "E' arrivato il momento di intervenire per il governo keniota e per la comunità internazionale - afferma Dana Krause, rappresentante di Msf in Kenya -: servono percorsi sostenibili per far uscire i profughi dal campo. Le politiche che favoriscono la libertà di movimento dei rifugiati e l'accesso ai servizi di base, se accompagnate da investimenti dei donatori nelle strutture locali, consentiranno ai rifugiati di condurre una vita dignitosa, a beneficio delle popolazioni ospitanti". 

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