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Trump o Biden, per chi voteranno Wall Street e la Silicon Valley?

In vista delle elezioni del 3 novembre, due importanti fette dell'economia statunitense hanno valutato quale scenario potrebbe volgere a loro vantaggio: la deregulation conservatrice del tycoon o gli investimenti in ambiente e sanità del candidato democratico

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Nelle prossime elezioni presidenziali avranno un ruolo importante i principali riferimenti economici degli Stati Uniti: la Borsa di Wall Street (in particolare le 500 società quotate nell’S&P) e i giganti tecnologici della Silicon Valley. Nonostante il presidente Donald Trump si presenti da sempre come difensore delle imprese e del mercato americano, alcune di queste realtà preferiscono supportare infatti lo sfidante democratico, Joe Biden.

Wall Street: il taglio delle tasse di Trump favorisce il buyback - I piani di incrementi delle tasse sulle imprese delineati da Joe Biden potrebbero pesare sui profitti aziendali e sul mercato: un punto a favore di Trump, che invece promette di mantenere il Tax Cuts and Jobs Act (approvato nel 2017). In caso di vittoria democratica, verrebbe creata anche una minimum tax per la corporation e un’imposta per gli utili guadagnati oltreconfine. Secondo l'ultima stima di Bank of America, l’aumento delle aliquote e imposte sui profitti all'estero eroderebbe gli utili previsti dai gruppi dell'S&P 500 del 9,2%. Le aziende legate al tech, che hanno solo il 43% delle entrate sul mercato domestico, sarebbero particolarmente sensibili alle misure sui profitti all'estero.

 

Ma le ripercussioni reali delle riforme fiscali sono difficili da misurare a priori, e devono essere inserite nel contesto creato da altre politiche economiche, commerciali e di salute pubblica. 

 

Le misure di Biden che compensano l’aumento delle aliquote - Diversi analisti si attendono a conti fatti ripercussioni positive anche da un’eventuale Blue Wave, ovvero da una vittoria dei democratici sia alla Casa Bianca che al Congresso. Secondo UBS Global Wealth Management, un’amministrazione Biden enfatizzerebbe la ripresa economica con un focus su infrastrutture, iniziative green e un’espansione della copertura sanitaria. Anche le tensioni commerciali potrebbero raffreddarsi, fornendo un ulteriore impulso all’economia. Ciò dovrebbe compensare l’impatto negativo di una regolamentazione finanziaria più rigorosa e di tasse più elevate. Sul fronte dei settori economici, UBS stima che quello industriale, dei materiali e dei servizi di pubblica utilità ne trarrebbero vantaggio. Il comparto energetico potrebbe invece subire una flessione a causa delle politiche verdi. La vittoria di Biden per molti significa anche una risposta più efficace alla pandemia, che oggi tiene in allarme le imprese con costanti rischi di paralisi. Trump invece è assediato dalle polemiche per aver sottovalutato il coronavirus. 

 

Goldman Sachs in estate aveva a sua volta ipotizzato un declino del 15% dei profitti per azione dei maggiori colossi quotati a Wall Street durante un’ipotetica amministrazione Biden. Di recente però il suo strategist David Kostin ha visto un contributo modesto ma positivo agli utili da un successo del partito democratico, almeno nel medio periodo. Significativi aumenti della spesa sociale su infrastrutture e cambiamento climatico, finanziati proprio dalle nuove imposte, darebbero spinta all’economia e compenserebbero le pressioni sugli utili generate dall’aumento delle aliquote. JP Morgan ha effettuato previsioni non troppo dissimili: un impatto neutrale o leggermente positivo da parte di un avvento dei democratici di Joe Biden.

 

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La legge che protegge i colossi del web - La sezione 230 del Communications Decency Act (Legge sul buon costume nelle comunicazioni) è invece l’oggetto del contendere tra il presidente Trump e un altro pilastro dell’economia statunitense: la Silicon Valley. Tale legge degli anni ‘90 protegge i fornitori di servizi digitali dalla responsabilità legale per ciò che viene pubblicato dagli utenti. Facebook non è quindi perseguibile per un post nel quale un utente incita all’odio, alla discriminazione o diffonde notizie false. I detrattori sostengono che la sezione 230 permetta ai colossi del web di guadagnare il più possibile dall’engagement, dal coinvolgimento degli utenti, senza preoccuparsi del fatto che i contenuti in questione possano nuocere alla società. Quel che è certo, è che i fornitori di servizi digitali non possono vedere di buon occhio un Presidente che minaccia di abrogare questa norma. 

 

I motivi di attrito tra la Silicon Valley e Trump - L’attuale Presidente ha più volte accusato la Silicon Valley di avere pregiudizi anti conservatori e nel maggio 2020 ha firmato un ordine esecutivo che chiede alla Commissione federale per le comunicazioni di chiarire proprio la parte della Sezione 230 che solleva i colossi del web dalle responsabilità giuridiche. Molti hanno affermato che si tratta solo di un provvedimento simbolico, ma ci sono anche altri motivi di attrito con i giganti della Silicon Valley. Nei mesi precedenti alle elezioni, il tycoon ha infatti sospeso i visti di immigrazione per motivi di lavoro, scelta che ha impedito alle tech company di avvalersi di manodopera straniera. Un altro aspetto è poi il rapporto con la Cina: il clima più disteso promesso da Biden avrebbe effetti positivi sugli affari con il mercato orientale.

 

Quale campagna ha ricevuto più finanziamenti? - Le divergenze tra i colossi del web e Donald Trump sembrano essere confermate dai dati diffusi dalla Commissione federale per le elezioni: i dipendenti di Alphabet, Amazon, Apple, Facebook, Microsoft e Oracle hanno contribuito alla campagna di Biden con una somma 20 volte superiore a quella versata a Trump. La Commissione richiede infatti ai cittadini che versano un contributo maggiore di 200 dollari a favore di una campagna presidenziale di dichiarare il loro datore di lavoro. Da questi dati emerge che i dipendenti delle sei società hanno donato oltre 4 milioni di dollari per finanziare la corsa di Biden e meno di 250mila dollari per quella del suo avversario repubblicano

 

Anche nella Silicon Valley esistono però, interessi diversi: non tutte le società si sono schierate in modo uniforme. Il 20% dei contributi di Oracle, per esempio, sono andati a Trump, mentre nelle altre compagnie la percentuale si abbassa a meno del 10%. La seconda compagnia per donazioni al candidato repubblicano è Microsoft: l’8% delle donazioni è andata al tycoon per un totale di oltre 75mila dollari (la somma più alta tra quelle versate dai dipendenti della Silicon Valley). Secondo un articolo pubblicato da "Wired", queste differenze rispecchiano i diversi atteggiamenti avuti dal Presidente nei confronti delle società. 

 

A settembre Oracle, dopo lunghe trattative, ha raggiunto un accordo vantaggioso con TikTok, benedetto da Trump: la tech company americana sarà un investitore di minoranza della società cinese, diventerà azionista al 12,5%. Anche Microsoft ha beneficiato del supporto del presidente: quando si è trovata a competere con Amazon per un contratto da 10 miliardi di dollari per il Dipartimento della difesa, Trump ha favorito l’azienda di Bill Gates. Amazon invece è stata varie volte nel mirino del tycoon a causa della linea editoriale del “Washington Post”, giornale che fa parte dell’impero di Jeff Bezos.

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