Meteo

Alluvioni a Dubai, colpa del "cloud seeding"? Cos'è e come funziona il controllo della pioggia

La climatologa Serena Giacomin: "L'andamento meteorologico prevedeva precipitazioni estreme anche senza inseminazione delle nuvole, non avrebbe avuto senso effettuarla"

di Carolina Sardelli
18 Apr 2024 - 13:09
 © Afp

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Oltre 140 millimetri di pioggia caduti in 24 ore hanno inondato le strade di Dubai. Alluvioni insolite per il Paese da sempre alle prese con la siccità, tanto da far circolare l'ipotesi che a causarle siano stati degli errori legati al "cloud seeding", letteralmente "inseminazione delle nuvole".

Quando nasce il "cloud seeding"?

  Si iniziò a parlare di inseminazione delle nuvole negli anni '40, ma fu dal decennio successivo che negli Stati Uniti la pratica iniziò a essere realmente conosciuta. Nel corso degli anni '70 si arrivò a uno stallo, prevalentemente per colpa del blocco dei finanziamenti governativi. In quegli anni, infatti, venne alla luce il programma militare top secret che gli Usa avevano realizzato durante la guerra del Vietnam: l'operazione Popeye prevedeva l'inseminazione delle nuvole per provare ad allungare la stagione dei monsoni. In seguito alla presa di coscienza di quanto accaduto nel sud est asiatico nel 1977 Stati Uniti, Russia, India e altri Stati europei firmarono la Convenzione sul divieto dell'uso di tecniche di modifica dell'ambiente a fini militari o a ogni altro scopo ostile. 

Di cosa si tratta?

   Il "cloud seeding" è una tecnica di stimolazione artificiale delle precipitazioni che prevede l'utilizzo di aerei per iniettare all'interno delle nuvole sali, principalmente ioduro d'argento o cloruro di sodio, che hanno capacità igroscopiche, riescono quindi a favorire il processo di condensazione del vapore acqueo formando goccioline di pioggia. Secondo l'Organizzazione Meteorologica Mondiale la semina può aumentare le precipitazioni di una singola nuvola anche del 20%. 

Chi lo utilizza?

 A oggi le tecniche di "cloud seeding" sono utilizzate e sviluppate prevalentemente nei Paesi interessati da periodi di alta siccità: dagli Emirati Arabi Uniti alla Cina, che utilizza la pratica regolarmente per l'irrigazione e per regolare le precipitazioni, cosa avvenuta anche per le Olimpiadi del 2008. Negli EAU, le prime sperimentazioni risalgono agli anni '90. Da allora il Centro nazionale di meteorologia di Dubai ha svolto numerose attività di ricerca. Negli ultimi anni le siccità, aggravate dal cambiamento climatico, hanno reso più urgente arrivare a sviluppare forme sempre più tecnologicamente avanzate di gestione dell'acqua. Gruppi di ricerca di tutto il mondo stanno lavorando a progetti per incrementare l'efficienza della pratica: Dan Martin, un ingegnere, ricercatore dell'Agricoltural Research Service del DOA, il dipartimento dell'agricoltura Usa, ha iniziato a utilizzare cariche elettriche, e i ricercatori delle università britanniche di Reading e Bath hanno impiegato droni per colpire le nuvole con impulsi elettrici, in un progetto finanziato dagli Emirati Arabi Uniti. Le nuove frontiere del "cloud seeding" porteranno anche all'utilizzo dell'intelligenza artificiale per la costruzione di algoritmi che permetteranno di prevedere con maggior precisione le condizioni meteorologiche perfette per effettuare l'inseminazione. 

Il meccanismo del "cloud seeding"

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Ci possono essere legami con le alluvioni di Dubai?

  Gli esperti prendono le distanze da teorie che legano l'utilizzo della pratica del "cloud seeding" con quanto avvenuto negli Emirati Arabi Uniti. Come spiegato a Tgcom24 da Serena Giacomin, fisica climatologa: "Il caso di Dubai sta facendo molto discutere, ma la modellistica utilizzata per analizzare l'andamento meteorologico prevedeva ingenti quantitativi di pioggia sulla regione senza che il processo di "cloud seeding" fosse inserito nel processo di analisi. Possiamo dire due cose: le piogge sarebbero state estreme anche senza inseminazione; usare il "cloud seeding" in una situazione atmosferica del genere non avrebbe avuto comunque senso". Lo stesso direttore generale del Centro nazionale di Meteorologia di Dubai, Omar Al Yazeedi, ha assicurato che prima o durante le grandi piogge non sarebbero stati effettuate attività di inseminazione perché "inutili".

Qual è l'efficacia dell'inseminazione delle nuvole?

  "Certamente gli Emirati Arabi Uniti sono tra i più interessati a questa pratica, per un ovvio motivo: la loro forte necessità di acqua - sottolinea Serena Giacomin - Per cui stanno investendo in progetti mirati a individuare le condizioni atmosferiche migliori, il momento giusto, in cui fare il tentativo per raccogliere “l’oro blu” soprattutto in vista degli scenari climatici in cui i periodi di siccità diventeranno sempre più frequenti. Ci sono studi statistici che suggeriscono come l’inseminazione delle nubi possa aumentare le precipitazioni fino al 15-10 per centro. Ma – anche se in alcuni casi l’inseminazione può aiutare ad aumentare le riserve idriche - ci sono molti limiti alla sua applicazione. Il primo tra tutti: per inseminare le nubi, ci vogliono le nubi! E queste devono anche avere caratteristiche ben precise. Non è in dubbio il fatto che il "clod seeding" possa funzionare - prosegue - ma dipende molto dalla situazione atmosferica dove la si prova ad applicare. Quindi la risposta secca alla domanda “funziona?” è “dipende”, ricordando che le condizioni meteorologiche non sono mai uguali a se stesse e questo complica profondamente la sperimentazione e la validazione dei dati, quindi l’analisi dei risultati".

Dubai finisce sott’acqua: una forte perturbazione ha colpito gli Emirati

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Quali rischi ci possono essere?

 Da decenni si discute sulle opportunità e i pericoli del "cloud seeding". Come evidenziato da Serena Giacomin: "L'utilizzo una tantum non è tanto quello che preoccupa, perché questo non determina una modifica su più larga scala del clima. Più che altro preoccupa che venga considerata una panacea da tutti i mali, distogliendo l'attenzione (e gli investimenti) da strategie di adattamento e mitigazione più strutturali".

La lotta al cambiamento climatico

 "Gli episodi di pioggia intensa nei deserti sono rari ma possono accadere - conclude Serena Giacomin - Purtroppo però stanno aumentando in frequenza e questa volta hanno colpito una città altamente urbanizzata e assolutamente inadatta ad accogliere tali quantitativi di acqua. Un problema considerando che un'atmosfera sempre più calda è capace di raccogliere sempre più vapore e quindi di scaricare pioggia più abbondante al suolo. Forse, invece di sparare sali per aria, occorrerebbe investire per rafforzare le nostre città perché possano difendersi con più efficacia dagli eventi estremi che ci attendono".

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