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11 Settembre, vent'anni dopo

Nel 2001 quattro attacchi suicidi, compiuti con altrettanti aerei di linea, hanno colpito a morte l'America delle Torri Gemelle, del Pentagono e l'Occidente. Un evento tragico, uno spartiacque nella storia contemporanea trasmesso in diretta televisiva. E che ancora oggi produce i suoi effetti sulle nostre società

Se lo chiedete a chiunque oggi abbia dai trent'anni in su, vi saprà dire esattamente cosa stava facendo nel pomeriggio dell'11 settembre 2001. In quel martedì qualunque, pieno di sole, l'attacco alle Torri Gemelle ci mostrò che anche l'America, e quindi l'Occidente che credevamo "sicuro" e lontano dalla guerra, potevano essere feriti a morte. Quella data, tragica e iconica, è diventata uno spartiacque della storia per i contemporanei - per noi - una realtà univoca al punto da non aver bisogno, neanche oggi, della specificazione dell'Anno Domini: per tutto il mondo, da vent'anni, basta solo dire "l'11 Settembre". Quattro attacchi suicidi coordinati e compiuti con altrettanti aerei di linea, dirottati da 19 terroristi di Al Qaeda, causarono quasi tremila vittime (2.977) e circa seimila feriti. L'obiettivo era l'odiata America: le Torri Gemelle del World Trade Center di New York, il Pentagono, Washington. Proprio il volo diretto sulla capitale statunitense precipitò però in un campo nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania, a seguito di un'eroica rivolta da parte dei passeggeri.

L'Occidente crollò in meno di due ore, tra le 8:46 e le 10:27. Nello spazio di 102 minuti collassa la Torre Sud, la seconda Gemella a essere colpita. L'altra cade venti minuti più tardi, dopo altrettanta agonia (il secondo aereo si schianta alle 9:05 locali, le 15:05 in Italia). In quello spazio temporale infinito in cui il cuore del mondo si ferma, a New York si viene a sapere che l'Fbi era stato messo in allerta per il possibile dirottamento di un aereo poco prima dell'impatto. Si pensa subito a un incidente, ma alle 9:28 la Casa Bianca parla già di attentato terroristico.

 

 

La catastrofe viene trasmessa in diretta dalle televisioni di tutto il mondo. Entra nelle case, sconvolge la quotidianità di milioni di famiglie. Traccia l'abisso tra Vecchio e Nuovo Millennio, squarcia la continuità tra storia e presente, educa all'atrocità gli occhi di generazioni lontane dalle Guerre Mondiali. Gli Stati Uniti, prima potenza globale, subiscono per la prima volta un micidiale attacco sul loro stesso territorio. E l'intero Occidente, oggetto delle minacce di bin Laden, scopre la propria vulenrabilità di fronte all'offensiva di un nemico tanto più inafferrabile perché non si identifica con un singolo Stato, ma agisce all'interno di società aperte e multietniche.

 

 

L'imbarco dei dirottatori - Alle 5:45 (ora di New York) di un 11 settembre qualunque, i dirottatori Mohammed Atta e Abdulaziz al-Omari passano i controlli di sicurezza dell'aeroporto di Portland diretti a Boston. Qui, insieme ad altri tre terroristi, si imbarcano sul volo American Airlines 11 diretto a Los Angeles, con a bordo 92 persone. Sempre allo scalo Logan di Boston, altri cinque salgono su un altro Boeing 767, il volo 175 dell'American Airlines, che decolla alle 8:14 diretto a Los Angeles con a bordo 51 passeggeri.

 

L'attacco alle Twin Towers - Alle 8:19 l'assistente di volo Betty Ong contatta via telefono la American Airlines. La comunicazione è lapidaria: "Credo che il nostro aereo sia stato dirottato". Cinque minuti dopo Mohamed Atta, uno dei terroristi a bordo, trasmette senza volerlo ai controllori di volo un messaggio diretto ai passeggeri: "Abbiamo dirottato alcuni aerei. State calmi e sarete salvi, stiamo tornando all'aeroporto". New York è già in pieno fermento a quell'ora, quando il volo 11 va a schiatarsi contro la North Tower del World Trade Center, tra il 93esimo e il 99esimo piano, a 790 chilometri all'ora. Sono le 8:46 del giorno più drammatico degli Stati Uniti. Alle 8:59 comincia l'evacuazione del World Trade Center. Ma non c'è tempo: circa quattro minuti dopo il volo 175 colpisce la Torre Sud fra il 77esimo e l'85esimo piano, a una velocità di 950 chilometri orari. L'impatto provoca un'esplosione e il conseguente incendio per via del carburante presente nell'aereo. La morte e il caos si abbattono su Manhattan.

 

Le Torri Gemelle bruciano in diretta mondiale. Sono scene tremende, indelebili, più che apocalittiche. In molti si lanciano nel vuoto nel disperato tentativo di sfuggire alle fiamme. Non sono neanche le 10 quando la Torre Sud collassa nel giro di dieci secondi, dopo aver bruciato per 56 minuti. Al termine di 102 minuti terribili, rovina al suolo anche la Torre Nord e si sbriciola l'Hotel Mariott, situato alla base dei due grattacieli. Mentre polvere, detriti e terrore invadono le strade, il sindaco Rudolph Giuliani ordina l'evacuazione di Lower Manhattan. Migliaia di persone fuggono a piedi verso Brooklyn, lasciandosi alle spalle desolazione e fiamme.

 

Il Pentagono e Washington - L'America è un Cesare alla mercé dei coltelli jihadisti. Il terzo dei quattro aerei viene fatto schiantare alle 9:37 contro il lato ovest del Pentagono, sede del Dipartimento della Difesa, in Virginia. L'attacco causa il crollo della facciata ovest dell'edificio. Neanche dieci minuti dopo vengono chiusi tutti gli aeroporti degli Stati Uniti. Infine, alle 10:03, un quarto aereo, il volo United Airlines 93 diretto a San Francisco, precipita in Pennsylvania al termine di uno scontro tra passeggeri e dirottatori. L'obiettivo sarebbe potuto essere la Casa Bianca o, più probabilmente, il Campidoglio di Washington, il cui nome in codice per i dirottatori era "la facoltà di legge".

 

Bush a scuola - Oltre alle immagini alle Torri infuocate e fumanti, accanto alla gente che scappa e urla mentre le macerie e la polvere riempiono le inquadrature, c'è un'altra immagine impressa nella storia: quella di George W. Bush che apprende la notizia dal capo del suo staff, Andy Card, che gliela sussurra all'orecchio in una scuola elementare di Sarasota, in Florida. Lo sguardo del presidente, quasi assente nell'immenso sbigottimento, si imprime a fuoco nell'immaginario collettivo. "Il Paese sta vivendo una tragedia nazionale, probabilmente si tratta di un attacco terroristico", dichiara poco dopo.

 

Un senso di paura e incertezza si diffonde in tutto il mondo, colpendo non solo i settori direttamente interessati dalla catastrofe (compagnie aeree, che videro bruscamente calare il numero di viaggiatori, e le società di assicurazione, costrette a far fronte a un'abnorme massa di risarcimenti), ma l'intera economia occidentale, di cui le Twin Towers apparivano il simbolo e il cuore pulsante. La prospettiva di uno "scontro di civiltà", seppur ufficialmente ricusato dai maggiori leader politici occidentali, sembra farsi più concreta: anche perché l'opinione pubblica americana, ferita e spaventata, esige una reazione proporzionale all'azione nemica.

 

La risposta rabbiosa degli Stati Uniti - E la reazione non tarda ad arrivare. L'amministrazione americana, in carica da pochi mesi dopo un'elezione incerta e contestata, dopo un iniziale smarrimento riesce a riprendere il controllo della situazione. Bush si preoccupa innanzitutto di predisporre le condizioni politiche per un'azione militare adeguata, così come suo padre aveva fatto dieci anni prima con la Guerra del Golfo. Serve un bersaglio, che viene individuato in Afghanistan. Il Paese asiatico ospita infatti il presunto capo dei terroristi, il famigerato Osama bin Laden, oltre a essere diventato il riferimento di tutti i gruppi integralisti. Gli stessi che, ironia della storia, gli Stati Uniti avevano finanziato e armato negli anni '80 in chiave anti-sovietica. Assicuratosi l'appoggio degli alleati della Nato e delle potenze ex avversarie (Russia e Cina), la diplomazia statunitense cerca subito di isolare i regimi più estremisti. Mosca  e gli altri Stati confinanti con l'Afghanistan offrono basi e supporto logistico, così come il Pakistan, che sfida così il tumulto dei movimenti integralisti. Perfino gli Stati arabi, tranne l'Iraq, e l'Iran manifestano solidarietà agli Usa.

 

L'operazione "Enduring Freedom" - Sembra così fallire l'obiettivo di bin Laden: sollevare le masse arabe contro i regimi moderati in nome della fede islamica e dell'antiamericanismo. Il 7 ottobre, quattro settimane dopo l'attentato, inizia l'operazione "Enduring Freedom", "Libertà Duratura". Sebbene riguardi blitz militari anche in altre zone del mondo, l'OEF finisce con l'indicare nell'opinione pubblica l'offensiva contro il Pese dei talebani. Gli occidentali si incaricano dei bombardamenti aerei e di qualche attacco sferrato da commandos, mentre il grosso dell'offensiva di terra viene affidati ai mujaheddin delle fazioni afghane avverse ai fondamentalisti. Dopo una stasi iniziale, il gancio americano va a bersaglio. Kabul viene occupata il 13 novembre, il 7 dicembre cade Kandahar, ultima roccaforte del regime. Intanto il Mullah Omar e bin Laden riescono (per il momento) a far perdere le loro tracce. Il nuovo governo afghano, presideuto da Hamid Karzai, si insedia il 22 dicembre.

 

Le radici dell'integralismo islamico - Guardandoci indietro con gli occhi di chi la storia l'ha vista passare, non si può fare a meno di spendere due parole sulla diffusione dell'integralismo islamico, un problema che riguarda l'intero mondo arabo e la più vasta area dei Paesi abitati da musulmani. Alla fine del Novecento, l'espansione e il rilancio dell'Islam, realizzati attraverso un aggressivo proselitismo, ha travalicato le sue aree tradizionali di insediamento: i Paesi arabi dell'Asia minore e del Nord Africa, l'Asia centrale, l'Indonesia, il sub-continente indiano. Questo rilancio ha spesso assunto le forme dell'integralismo, ossia di quella tendenza che si batte per un'applicazione integrale dei precetti religiosi (che vuole tradurre il leggi dello Stato) e per la subordinazione del potere civile all'autorità spirituale. Già presenti da tempo, soprattutto in Medio Oriente, le correnti integraliste furono rilanciate, negli anni '80, dagli sviluppi della rivoluzione iraniana e successivamente dalla vittoriosa resistenza all'occupazione sovietica in Afghanistan, dove erano affluiti volontari da molti Paesi musulmani. Ben presto fu evidente come la fiamma dell'integralismo islamico fosse divampata al di là dei singoli confini nazionali, incendiando il mondo e diventando dunque un'emergenza internazionale.

 

La fine del (primo) regime dei talebani rappresentava certamente un successo per l'alleanza a guida americana, ma non esauriva la lotta intrapresa contro il terrorismo. E, soprattutto, non cancellava l'inquietudine dell'11 settembre, destinato a condizionare, ancora oggi, gli equilibri internazionali e gli stessi stili di vita delle società occidentali.

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