La presidente di Fininvest e Mondadori scrive al Corriere della Sera e denuncia la deriva incontrollata delle piattaforme digitali: "Vivono in un far west normativo e culturale. L’Europa non arretri sulle regole"
Un duro atto d'accusa contro i colossi della Silicon Valley. In una lettera pubblicata sul Corriere della Sera, Marina Berlusconi - presidente di Fininvest e del gruppo Mondadori - ha lanciato un appello pubblico in difesa della libertà di informazione, mettendo in guardia dalle distorsioni provocate da un potere tecnologico che, a suo dire, "rifiuta le regole" e opera fuori da ogni responsabilità editoriale. La sua riflessione tocca i nodi della concorrenza, dell'influenza politica, della diffusione delle fake news e della crescente marginalizzazione dell'editoria tradizionale. Un testo che rilancia il dibattito europeo sulla regolamentazione del digitale e sul ruolo pubblico della cultura nell'era dell'algoritmo.
Marina Berlusconi inquadra la questione all'interno di un contesto globale segnato da conflitti, intolleranze e manipolazione digitale. In questo scenario, afferma, libertà e democrazia sono voci isolate, ma fondamentali. Citando il sociologo Jacques Ellul, richiama l'attenzione sulla sproporzione tra il potere delle Big Tech e l'assenza di vincoli normativi adeguati: le prime cinque aziende tecnologiche - Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet e Amazon - superano ormai il PIL dell'intera area euro. Un potere che, sottolinea, non si limita alla sfera economica, ma si estende a quella culturale e politica, senza le responsabilità e gli obblighi a cui sono invece sottoposti i media tradizionali.
Nel suo intervento, la presidente di Fininvest evidenzia il divario profondo tra editori e piattaforme digitali. I primi, spiega, rispettano leggi, versano imposte e tutelano l'occupazione. Le seconde, invece, operano in un sistema opaco dove le regole sono eluse e la concentrazione pubblicitaria è schiacciante: due terzi del mercato globale è nelle mani delle Big Tech. Citando l'ex dirigente di Meta Sarah Wynn-Williams, Marina Berlusconi definisce questa dinamica come "concorrenza sleale bella e buona", dove i colossi digitali agiscono da "careless people", incuranti delle ricadute sociali e culturali del loro modello.
Un passaggio particolarmente significativo riguarda l'intreccio tra tecnologia e potere politico. Secondo Marina Berlusconi, le grandi piattaforme digitali non sono più semplici aziende, ma veri e propri "attori politici". A differenza di chi fa politica per mestiere, i padroni della Silicon Valley restano "sempre al loro posto", capaci di adattarsi a ogni scenario ideologico, passando dal "wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa". Un contesto che, a suo avviso, alimenta polarizzazione e intolleranza, riducendo lo spazio del dialogo democratico e compromettendo la coesione sociale.
Le piattaforme digitali, accusa Marina Berlusconi, prosperano in un contesto normativo privo di controlli e di responsabilità editoriale. In questo "far west" dell'informazione, l'unico criterio che conta è la ricerca del clic. Ne derivano, secondo la presidente di Mondadori, la crescita delle fake news, la diffusione dell'odio in rete e il rifiuto delle opinioni diverse. Si tratta di un "brodo culturale" che alimenta radicalizzazione e frammentazione sociale, rendendo più difficile la comprensione dei fenomeni e favorendo la manipolazione.
Nonostante il quadro critico, Marina Berlusconi esprime fiducia nella capacità dell'Europa di reagire. Valuta positivamente il Digital Package approvato tra il 2016 e il 2024, ma ammonisce: "la Commissione non deve indietreggiare". Regolamentare il digitale, afferma, non è solo una necessità per gli editori, ma un dovere per chi vuole difendere la democrazia. La lettera si chiude con un riferimento a "Fahrenheit 451" di Ray Bradbury, a sottolineare quanto il sapere critico, custodito nei libri, resti un baluardo contro ogni forma di manipolazione. Nel mare del digitale, conclude Berlusconi, è necessario conservare "isole di saggezza e intelligenza umana".
Ecco il testo integrale della lettera di Marina Berlusconi:
«Caro direttore, c'è un rumore di fondo che attraversa il nostro tempo: guerre, radicalismi, intolleranze, manipolazione digitale... Dentro quel rumore la libertà e la democrazia sembrano spesso voci isolate, ma sono le uniche che vale la pena continuare ad ascoltare. E sono voci che chi come noi fa informazione e cultura deve sostenere, proteggere, amplificare.»
«Oggi le prime cinque BigTech assieme – Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon – sono arrivate a superare il PIL dell’area euro. Ma attenzione: ridurre tutto ai valori economici non basta, il potere dei giganti della tecnologia va ben oltre. È un potere che rifiuta le regole, cioè la base di qualsiasi società davvero funzionante. Noi editori tradizionali paghiamo le tasse, rispettiamo le leggi, tuteliamo il diritto d’autore e i posti di lavoro – basti pensare che in Italia le piattaforme occupano appena un trentesimo dei lavoratori del settore.»
«Eppure quasi due terzi del mercato pubblicitario globale vengono inghiottiti dai colossi della Silicon Valley, che fanno esattamente il contrario: per dirla con il titolo del saggio firmato dalla ex-Meta Sarah Wynn-Williams, sono Careless People, “gente che se ne frega”. È concorrenza sleale bella e buona. Ben venga, dunque, il Digital Package varato dall’UE tra il 2016 e il 2024 a tutela degli utenti delle piattaforme. Per Donald Trump va smantellato, perché è un ostacolo: in teoria al progresso, più realisticamente al profitto, che, sia ben chiaro, è fondamentale: da imprenditore non sarò certo io a negarlo.»
«Sono convinta che un mercato sia veramente libero solo quando risponde a regole. Non troppe e soprattutto giuste – in questo l’Europa spesso inciampa. Mi auguro davvero che sul digitale la Commissione non indietreggi, anche – e forse soprattutto – alla luce della enorme capacità di influenza culturale nelle mani di BigTech. Non è più solo un problema degli editori, riguarda tutti.»
«A differenza dei media tradizionali, le piattaforme prosperano in un far-west dove nessuno risponde di quello che ha scritto, l’importante sono i clic. E così si solleva la marea delle fake news, del linguaggio d’odio, del rifiuto delle opinioni diverse. In sintesi, il brodo culturale della polarizzazione e della radicalizzazione, in cui affoga purtroppo anche la politica.»
«L’intreccio tra politica e BigTech negli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti e porta enormi vantaggi a un Paese che della tecnologia ha bisogno per affrontare le sfide geopolitiche. Lo sappiamo, ma è bene ricordarlo: questi colossi non sono più solo aziende private, sono attori politici. Con una differenza sostanziale rispetto a chi fa politica di mestiere: i padroni della Silicon Valley restano sempre al loro posto. Grazie a una buona dose di ipocrisia, sono passati dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa. Del resto, nell’era della polarizzazione si sbanda da un eccesso all’altro. Ma intanto libertà e democrazia rischiano di finire stritolate nella morsa degli opposti, che distrugge il dialogo e alimenta l’intolleranza.»
«La tecnologia ha portato enormi miglioramenti in molti aspetti della nostra vita, tanto che siamo disponibili a barattarne le comodità con i nostri dati personali, sottovalutandone le dirompenti conseguenze. Eppure, davanti a certe derive inquietanti, la domanda s’impone: cosa possiamo fare? I regolatori devono garantire norme eque. La politica deve impedire eccessive concentrazioni di potere. Ma cosa può fare un editore per evitare che il treno deragli? Certamente non miracoli, ma può sempre dare un piccolo aiuto a chi vuole capire come è fatto, quel treno, in quale direzione corre. E dove la curva dei binari è più pericolosa.»
«Mi viene in mente Fahrenheit 451: nel 1953 Ray Bradbury immaginava un futuro dove un regime totalitario brucia i libri perché sono i migliori custodi della memoria, fanno ragionare la gente e quindi creano dissenso. Fortunatamente il presente è ben diverso – per lo meno nel nostro Paese – eppure, anche nel regime digitale, c’è sempre bisogno del racconto di un buon libro: ci rende più critici e consapevoli, meno vulnerabili alla manipolazione. La responsabilità principale di chi fa il mio mestiere, in fondo, sta tutta qui. Nel garantire che quel meraviglioso racconto possa continuare, con la massima libertà. Basterà? Non mi faccio illusioni. Ma almeno, nel mare dei social e dell’intelligenza artificiale, resterà qualche isola di saggezza e di intelligenza umana.»