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L'impatto dell'abolizione delle misure anti-dumping verso la Cina

La ceramica, la chimica, la siderurgia, i pannelli solari e i biocarburanti sono i settori più esposti alla concorrenza cinese

L'impatto dell'abolizione delle misure anti-dumping verso la Cina - foto 1
ansa

Entro la fine del 2016, l'Unione europea dovrà decidere se riconoscere o meno lo status di economia di mercato alla Cina, uno dei suoi partner commerciali più importanti.

Pur essendo entrata nell'Organizzazione mondiale del Commercio (WTO) nel 2001, quella cinese non è ancora riconosciuta da Bruxelles come "un'economia di mercato” in quanto non rispetta tutti i parametri che potrebbero renderla effettivamente tale. In Cina – a differenza di quanto accade in una reale "economia di mercato", dove sono le imprese a farsi carico dei costi di investimento e di produzione –, lo Stato controlla e sostiene direttamente le aziende attive in settori strategici, come quello energetico, siderurgico e minerario.

Riconoscendo alla Cina lo status di economia di mercato, Bruxelles dovrà (necessariamente) abolire le numerose misure anti-dumping (concorrenza sleale) ancora in vigore e che tutelano le imprese europee dalle merci prodotte dalle concorrenti cinesi, che risultano più competitive perché sostenute in modo più o meno rilevante dall'intervento statale.

Il nostro Paese figura nell'elenco di quelli che rischiano di perdere di più dalle misure anti-dumping comunitarie verso la Cina. Secondo uno studio della Commissione europea, il 79% dei posti di lavoro tutelati dalle misure anti-dumping – 234 mila, che salgono a circa 350 mila considerando anche l'indotto – sono in Francia (5%), Germania (24%), Italia (28%), Portogallo (5%), Spagna (12%) e Polonia (5%). Mentre la ceramica, la chimica, la siderurgia, i pannelli solari e i biocarburanti sono i settori più esposti alla concorrenza cinese.

Ma un rapporto dell'Economic Policy Institute sostiene che un'eventuale abolizione delle misure anti-dumping verso la Cina avrebbe un costo decisamente più gravoso sul fronte occupazionale – il report stima che i posti di lavoro europei a rischio sono compresi tra l'1,7 e le 3,5 milioni di unità –, con un impatto altrettanto negativo sul Prodotto interno lordo (PIL) dell'Unione europea, che potrebbe perdere 228 miliardi di euro.