L’investimento massiccio nell’infrastruttura dell’IA espone le Big Tech a rischi crescenti: ritorni incerti, hardware che invecchia troppo in fretta, accuse di “lifting contabile” e proteste legate ai costi energetici
Negli ultimi due anni i data center sono diventati la nuova spina dorsale dell’economia americana. Alimentano l’esplosione dell’intelligenza artificiale, trainano gli investimenti delle Big Tech e sostengono buona parte della crescita del PIL degli Stati Uniti. Sono dunque percepiti come un “sacro graal” industriale, indispensabile per mantenere la leadership tecnologica globale. Eppure, mentre la loro espansione procede a ritmi senza precedenti, sta emergendo un quadro sempre più problematico.
I QUATTRO SEGNALI
I data center sono infrastrutture sempre più costose, soggette a cicli di obsolescenza difficili da sostenere e in grado di produrre attriti sociali ed economici nei territori che li ospitano. Negli ultimi mesi, i segnali finanziari, industriali e sociali stanno infatti mostrando che la traiettoria attuale potrebbe non essere sostenibile.Dalla possibilità che i data center non riescano a ripagare gli investimenti al rischio di un’economia circolare artificiale, dal ricorso crescente a trucchi contabili per mascherare l’obsolescenza fino alle tensioni ambientali e ai rincari delle bollette, il modello che sostiene l’IA generativa inizia oggi a mostrare i primi limiti strutturali.Ecco i quattro segnali che, più di altri, mostrano che il modello attuale potrebbe presto richiedere una revisione profonda.
IL RISCHIO DI UNA CORSA CHE NON SI RIPAGHERÀ
Il primo segnale arriva dall’amministratore delegato di IBM. Arvind Krishna ha spiegato che, ai costi attuali dell’infrastruttura, non esiste alcuna garanzia che gli investimenti miliardari nei data center riusciranno a generare ritorni proporzionati. Un’osservazione che colpisce perché arriva da un’azienda che, storicamente, la capacità computazionale l’ha sempre venduta. "Non torna la matematica", ha sintetizzato Krishna, ricordando che un data center da 1 gigawatt può costare fino a 80 miliardi di dollari e che, per ripagare gli impegni di cui si parla in questi mesi, servirebbero flussi di cassa annuali prossimi agli 800 miliardi di dollari: una soglia che oggi nessun player dell’IA generativa è in grado di avvicinare.A complicare il quadro c’è la velocità dell’obsolescenza: le GPU diventano datate ormai ogni anno, rendendo concreta la possibilità che un data center progettato per i chip di oggi non sia più adatto a quelli di domani. Ne derivano aggiornamenti più frequenti, costi di riconversione elevati e margini sotto pressione. È una prospettiva che preoccupa investitori e operatori, perché implica il rischio di strutture che potrebbero non fare in tempo a ripagarsi.
L’ECONOMIA CIRCOLARE CHE ALIMENTA SÉ STESSA
Il secondo segnale riguarda la dinamica ormai ricorrente tra i produttori di GPU e i principali attori dell’IA generativa. Un esempio recente è l’investimento congiunto di Microsoft e Nvidia in Anthropic: l’azienda che produce l’hardware più richiesto al mondo per addestrare i modelli diventa anche finanziatrice di chi quello stesso hardware lo consuma in quantità massicce.A prima vista possono sembrare collaborazioni naturali lungo la stessa filiera (il produttore di hardware che sostiene uno dei suoi principali utilizzatori), ma in realtà il meccanismo è più complesso.Si sta creando infatti un’economia circolare in cui chi controlla la fornitura di calcolo ha un incentivo a sostenere artificialmente la domanda di calcolo stessa. È una strategia che può accelerare l’innovazione ma che, in assenza di una dinamica di mercato trasparente, può anche gonfiare valutazioni e spingere verso un eccesso di capacità, con il rischio di generare un mercato drogato dall’interno.
IL LIFTING CONTABILE CHE MASCHERA L’OBSOLESCENZA
Il terzo segnale è contabile. Negli ultimi trimestri, diverse Big Tech hanno allungato artificiosamente la vita utile dei loro data center. In pratica, gli asset vengono ammortizzati più lentamente, così da ridurre l’impatto sui conti nel breve periodo.È un’operazione perfettamente legale, peccato però che il ritmo dell’innovazione stia accorciando la vita effettiva dei data center, non allungandola. Il risultato è che a bilancio gli asset diventano più longevi, mentre nella realtà operativa invecchiano più rapidamente. Questo scollamento viene spesso utilizzato per tranquillizzare gli investitori nelle trimestrali ma l’obsolescenza tecnica prima o poi andrà contabilizzata e si tradurrà in costi più elevati negli anni successivi.Esemplare è il caso di Amazon. Dopo aver guidato il settore nell’allungare la vita utile dei server (portandola prima a quattro, poi a cinque e persino a sei anni, in un trend seguito anche da Microsoft, Google e Meta), nel 2024 ha riconosciuto che il ritmo dell’innovazione non è compatibile con assunzioni così ottimistiche.L’azienda ha quindi dichiarato un’accelerazione dell’obsolescenza, soprattutto nell’area dell’intelligenza artificiale, e ha iniziato a ritirare alcune categorie di hardware in anticipo, riducendo nuovamente la loro vita utile. La revisione ha avuto un impatto diretto sull’utile operativo.
L’IMPATTO SOCIALE
Il quarto segnale arriva dagli Stati Uniti, dove la crescita dei data center sta diventando un tema politico e sociale. Le analisi evidenziano una correlazione diretta tra l’arrivo di queste infrastrutture e l’aumento dei prezzi dell’elettricità nelle regioni interessate.Il dato più immediato è quello registrato quest’anno: +13% nelle tariffe elettriche, l’incremento annuale più elevato dell’ultimo decennio. Molte utility stanno infatti imponendo ulteriori rialzi per finanziare l’espansione della rete, con ricadute dirette sulle bollette dei cittadini. Prevedibilmente, ciò ha intensificato le proteste ambientali e civiche, alimentate però non solo dall’aumento dei costi ma anche da ciò che i data center rappresentano.Si tratta infatti di strutture grandemente energivore, funzionali agli interessi delle Big Tech, con benefici limitati per le comunità locali e alfieri di una tecnologia che sta contribuendo a ondate di licenziamenti nelle industrie tradizionali.Resta da capire se queste tensioni si tradurranno in pressioni normative, restrizioni urbanistiche o nuovi requisiti ambientali; oppure se verranno ignorate in nome della ‘sicurezza nazionale’.In fondo, la competizione tecnologica con la Cina resta un obiettivo strategico su cui gli Stati Uniti non sembrano intenzionati a rallentare.
UNA NUOVA FASE DELLA CORSA ALL’IA
Il quadro che emerge relativamente ai data center è allora quello di un’infrastruttura sì strategica, su cui però si stanno innestando dinamiche finanziarie e sociali complesse. I data center restano essenziali per alimentare l’IA generativa e sostenere la crescita economica contemporanea, ma iniziano a mostrare una serie di vulnerabilità che il mercato e la politica non potranno ignorare a lungo.Mentre le Big Tech continuano ad accelerare, in molti iniziano a chiedersi se la corsa attuale sia davvero sostenibile. Non è solo una questione di occupazione e di ambiente: è una riflessione sulla natura stessa dell’economia dell’IA, che corre più veloce della sue infrastrutture e dei propri conti economici.