"Non ci sia fretta, deve funzionare"
© LaPresse
In una lettera pubblicata dal Wall Street Journal, datata 13 dicembre e indirizzata ai suoi omologhi europei, il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, frena sull'Unione Bancaria. "Sono convinto - si legge - che non dobbiamo affrettarci per un'Unione Bancaria difettosa, ma che dobbiamo prenderci il tempo necessario per costruirne una che funzioni correttamente".
Il messaggio e' tutto per Berlino: il meccanismo che vuole mettere in piedi e' troppo macchinoso, come ha riconosciuto anche il presidente Bce Mario Draghi, e l'Italia invece vuole un sistema semplice, efficace e rapido, che preveda anche quel fondo comune e paracadute finanziari nazionali a cui la Germania si oppone.
La stessa Germania, da parte sua, non sembra disposta a cedere: nessun intervento degli Stati per salvare le banche, nessun uso del fondo europeo salva-Stati (Esm) e nessuna messa in comune di fondi per salvare banche altrui. Il ministro dell'economia Wolfgang Schaeuble arriva a Bruxelles e minaccia anche un nuovo Ecofin la prossima settimana: "Le posizioni sono diverse su molti punti, e' un lavoro difficile, comunque e' possibile anche una riunione la prossima settimana", avverte entrando all'eurogruppo. Ma potrebbe essere solo una strategia negoziale, per far capire che Berlino non cedera'.
Tra poche ore è in programma a Parigi il confronto Merkel-Hollande, mentre a Bruxelles andra' in scena l'Ecofin, e allora si capira' se i negoziati avranno buon esito - come sempre accade quando Parigi e Berlino trovano una posizione comune - oppure no.
Dopo aver messo il primo pilastro dell'Unione bancaria, cioe' la supervisione unica targata Bce, i ministri dell'Economia devono accordarsi sulla seconda fase cioe' il 'meccanismo unico di fallimento ordinato delle banche'.
E' un tassello necessario perche' quando la Bce trovera' un istituto in sofferenza, dovra' passare l'allarme all'organismo che decidera' se ricapitalizzarlo o, nel peggiore dei casi, chiuderlo. Ma sui dettagli del default ordinato gli Stati sono ancora divisi, e pressati dal presidente della Bce Mario Draghi che teme un meccanismo troppo complesso che faticherebbe a funzionare. Due i problemi da risolvere da qui a giovedi'. Il primo e' chi preme il grilletto contro una banca sofferente: la Commissione Ue, o un altra istituzione europea.
La Bce ha criticato l'ipotesi che possa essere un board formato da Stati, troppo macchinoso e a rischio di blocco continuo. L'altro punto ancora aperto e' chi paga il default: la direttiva per la risoluzione delle banche (BRRD), passo intermedio tra la prima e la seconda tappa dell'Unione bancaria, stabilisce una precisa 'gerarchia delle perdite' (il cosiddetto 'bail-in'): in caso di default le banche devono cercare capitali prima sul mercato, poi distribuiscono perdite su obbligazionisti, azionisti e infine sui depositi sopra i 100mila euro.
Ma quando anche questo non fosse sufficiente a coprire le necessita' di capitale, interverrebbe un 'fondo unico', alimentato dalle stesse banche, che pero' impieghera' almeno 15 anni per andare a regime. Il fondo sara' inizialmente a 'compartimenti nazionali' (formato da tanti fondi nazionali) e solo alla fine sara' progressivamente mutualizzato.
Ma nel frattempo bisogna capire dove attingere: la Germania non vuole assolutamente che siano di nuovo gli Stati a garantire per le banche, e nemmeno vuole impiegare il fondo europeo salva-Stati Esm.