Al sud i poveri sono quasi uno su quattro, il 5% al nord. E scende il potere d'acquisto
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Famiglie italiane più povere rispetto a 20 anni fa, con un potere di acquisto pro capite in calo e inferiore del 4% rispetto al 1992. Lo rileva l'Istat nel Rapporto annuale 2012. "Complessivamente - si sottolinea - dall'inizio della crisi economica, dal 2008, le famiglie hanno visto crescere del 2,1% il reddito disponibile con una riduzione del potere di acquisto di circa il 5%. Al Sud sono povere 23 famiglie su 100, al Nord 4,9 (dato 2010).
In pratica il reddito disponibile delle famiglie italiane è sceso ai livelli di dieci anni fa, come ha sottolineato il presidente dell'Istat Enrico Giovannini comentando i numeri del Rapporto. Il dato è diminuito nel 2011 dello 0,6%, con una discesa che continua per il quarto anno consecutivo. Il reddito pro capite risulta inferiore del 4% ai livelli del 1992 e del 7% rispetto al 2007. "In quattro anni - ha aggiunto Giovannini - la perdita in termini reali risulta pari a 1.300 euro a testa, mentre la propensione al risparmio delle famiglie è passata dal 12,6% all'8,8%".
E così, se l'Italia è un Paese in cui si vive sempre più a lungo e in buona salute (gli uomini arrivano a 79,4 anni e le donne a 84,5), avanza però la povertà. Nel 2011 l'economia rimane ancora sotto i livelli pre-crisi, con il Pil italiano che segna nel 2011 una crescita dello 0,4%, con l'attività economica che non ha ancora recuperato il livello precedente alla crisi del 2008-2009.
"Il sistema delle imprese italiane, che non aveva ancora recuperato le perdite subite con la crisi del 2008-2009 - si legge nel Rapporto - ha sperimentato nel 2011 una nuova fase di difficoltà derivante dal sovrapporsi di una contrazione della domanda interna e di un indebolimento di quella estera. Il recupero ciclico dell'attività produttiva dai minimi del 2009 è proseguito fino alla prima metà del 2011, per poi segnare una netta inversione di tendenza nella seconda parte dell'anno".
Meno lavoro per gli Under 30
Nel 2011 sono diminuiti gli occupati più giovani: 93mila in meno tra i 15 e i 29 anni e 66mila in meno tra i 30 e i 49 anni. Nel suo Rapporto annuale 2012 l'Istat aggiunge che sono invece cresciuti gli occupati con almeno 50 anni (+254mila persone). Una tendenza che, spiegano all'Istituto di statistica, "può essere ricondotta alla modifica dei requisiti, sempre più stringenti, per accedere alla pensione".
La disoccupazione sale al 9,5%
Il tasso di senza lavoro raggiungerà in Italia il 9,5% nel 2012 (dall'8,4% del 2011), salendo ulteriormente al 9,6% nel 2013.
Italiani sempre più poveri
Alla fine del 2011 il reddito disponibile delle famiglie risultava del 7% inferiore rispetto al 2007 e questo ha spinto gli italiani a ridurre di quasi quattro punti percentuali il tasso di risparmio.
Grazie alla riduzione della propensione al risparmio, oltre 13 punti tra il 1992 e il 2011, e al supporto proveniente dai trasferimenti pubblici alle famiglie, gli indicatori di povertà relativa basati sulla spesa sono rimasti stazionari negli ultimi 15 anni intorno al 10-11%. Invariato è rimasto anche il forte divario tra Nord e Sud: nelle regioni settentrionali l'incidenza della povertà era pari, nel 2010, al 4,9%, in quelle meridionali al 23%.
Per la casa si spende sempre di più
Al contrario, la composizione dei consumi delle famiglie è mutata significativamente, osserva Istat. Tra il 1997 e il 2010 è aumentata di molto la quota destinata all'abitazione (oltre sei punti percentuali), meno quella per l'energia, mentre tutte le altre voci hanno visto una riduzione della loro importanza.
Le famiglie più povere hanno accresciuto i consumi del 44%, riducendo drasticamente le spese non necessarie e la qualità dei prodotti acquistati (il 20% si rivolge agli hard discount). Gli acquisti del ceto medio sono aumentati del 25% e sono ora maggiormente orientati verso prodotti non alimentari, con un forte incremento delle spese per l'abitazione (affitto, utenze). Infine, le famiglie più ricche spendono nel 2010 solo il 14% in più del 1997, con un peso maggiore, oltre che dell'abitazione, degli altri beni e servizi, la cui quota aumenta di mezzo punto percentuale.
L'inflazione è rimasta invariata per tutto il 2011, sospinta dall'aumento dei prezzi dei prodotti energetici e alimentari importati: nei primi mesi del 2012 risulta stabile al 3,3%, con un allargamento del differenziale inflazionistico nei confronti dell'area dell'euro. Il cosiddetto costo del carrello, ossia i prezzi dei prodotti acquistati con maggior frequenza, è stato, tuttavia, nettamente più accentuato di quello medio e pari al 4,7% in aprile.
Cresce il carico fiscale
Nel periodo 1992-2011 si è registrato un progressivo aumento del carico fiscale corrente sulle famiglie, passato dal 13,2% degli anni 1992-1996 al 14,1% del periodo 2001-2007, per raggiungere il 15,1% nel 2011.
Pil giù nel 2012, in ripresa nel 2013
Il Pil italiano quest'anno subirà una contrazione dell'1,5% per poi aumentare dello 0,5% nel 2013 trainato dalle esportazioni secondo il Rapporto, dove si precisa che i consumi e soprattutto gli investimenti subiranno nel 2012 forti riduzioni (-2,1% e -5,7%) mentre l'export sarà positivo (+1,2%).
Difficile investire per colpa dell'accesso al credito
Nel 2011 gli investimenti fissi lordi sono diminuiti dell'1,9%, sottraendo alla crescita lo 0,4%. Una modesta attività d'investimento che è stata accompagnata da crescenti difficoltà di accesso al credito bancario. L'Istituto di statistica aggiunge che "l'indagine sulla fiducia delle imprese manifatturiere segnala come, nella seconda metà del 2011, la percezione delle imprese sulle condizioni di credito sia peggiorata bruscamente: la percentuale di imprese che avverte un inasprimento delle condizioni di finanziamento, in crescita pressoché continua dalla metà del 2010, sul finire del 2011 si è attestata in tutti i settori su livelli compresi tra il 35% e il 45%, valori molto elevati e paragonabili a quelli osservati nelle fasi più severe della crisi dell'autunno 2008".
Inoltre, si legge sempre nel Rapporto, "al deterioramento delle condizioni creditizie si è associato, con qualche ritardo, un aumento della quota di imprese che si ritiene effettivamente razionata, soprattutto di quelle che si sono viste rifiutare dalla banca il finanziamento richiesto".
Sommerso pari al 17% del Pil
L'Istat rivela poi che in Italia il sommerso vale tra i 255 e i 275 miliardi di euro, cioè il 16,3%-17% del Pil. Il riferimento è al 2008. Rispetto al 2000, il valore del sommerso sul Pil è diminuito: 12 anni fa era infatti pari a oltre il 18% del Prodotto interno lordo.