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Il problema fast fashion: verso una moda più sostenibile

Contro la moda usa e getta

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Il problema fast fashion: verso una moda più sostenibile<br />
  - foto 1
unsplash

L’industria della moda è una tra le più inquinanti del mondo e rappresenta il quarto produttore di emissioni di gas serra dopo quello di cibo, edile e trasporti. Vestiti che costano poco, si usano una volta sola, quando va bene, e poi finiscono nel cassonetto dei rifiuti. Questa la triste cultura del Fast Fashion, ovvero della moda usa e getta, che registra dati enormi sullo spreco. Ogni anno in Europa 6 milioni di tonnellate di abiti finiscono in discarica, l’equivalente di 11,3 kg a persona. Il dato preoccupante arriva dalla Commissione Europea che ha annunciato una vera e propria stretta per le aziende.

Il dato globale sugli sprechi fornito dalla Commissione Europea è allarmante. Abbiamo il dovere di rivedere le nostre abitudini di consumo. Ecco perché il modello Knotwear si fonda sullo sviluppo del senso critico del cliente e su una forte riduzione degli sprechi” spiega Gaia Segattini, Fondatrice di Gaia Segattini Knotwear, brand di maglieria artigianale totalmente made in Italy fondato su tre valori chiave: sostenibilità, innovazione e territorio. Entro il 2030 tutti i prodotti tessili immessi sul mercato UE dovranno essere durevoli, riparabili e riciclabili, per gran parte costituiti da fibre riciclate e prive di sostanze pericolose. Senza dimenticare il rispetto dei diritti sociali. Accendere i riflettori su una moda più responsabile e sostenibile risulta quindi di fondamentale importanza per la salute del Pianeta. Basti pensare che l’industria della moda consuma più di 90 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, abbastanza per il fabbisogno di oltre 5 milioni di persone.

 

Requisiti di progettazione dei tessuti per farli durare più a lungo e renderne più facile la riparazione e il riciclo, aumentare la consapevolezza dei consumatori sulla moda, invertire la direzione rispetto alla sovrapproduzione e al consumo eccessivo e scoraggiare la distruzione dei tessuti invenduti, limitare l’esportazione di rifiuti tessili e promuovere tessuti sostenibili a livello globale. Queste solo alcune delle serie di azioni chiave per un vero cambiamento. In Italia gli esempi virtuosi non mancano, ma non sono ancora abbastanza i brand di maglieria che fanno della sostenibilità il loro core business.

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Il problema fast fashion: verso una moda più sostenibile<br />
  - foto 2
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La nostra maglieria è realizzata con circa l’80% di filati di giacenza produttiva di altissima qualità o filati rigenerati. Inoltre, abbiamo una filiera produttiva molto corta, circoscritta in un’area di 70 chilometri quadrati con fornitori e piccoli laboratori con cui abbiamo un rapporto di collaborazione e non subordinazione. Come società Benefit abbiamo appena rilasciato la nostra relazione d’impatto che speriamo possa ispirare altre realtà a ridurre gli sprechi e ad avere una filiera più responsabile” continua Gaia Segattini.

Fortunatamente un cambio di rotta sembra possibile. Un altro esempio virtuoso è quello di Greenline, la più grande realtà di recupero tessile d’Italia, dove ogni giorno arrivano dalle 20 alle 40 tonnellate di scarto tessile dai grandi gruppi di moda. Quando i materiali arrivano all’interno dell’impianto, il personale provvede a un’accurata selezione, alla pressatura e allo stoccaggio degli stessi. A seconda della tipologia del materiale l’azienda provvede poi all’invio dei materiali ad aziende in grado di lavorare la materia prima (filatura, sfilacciatura, garnettatura).

La moda sta vivendo un lungo percorso di cambiamento che però è giunto il momento di mettere in pratica.

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