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Ucraina, il romanzo "Fiume Europa" preannunciava la realtà? L'autore a Tgcom24: "Paura pensando a Odessa"

Cinque adolescenti sopravvissuti alla distruzione del Vecchio continente alla ricerca di una speranza di rinascita: ecco la trama del volume pubblicato nel 2019. Con scenari sorprendentemente attuali

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Ufficio stampa

Era nato come romanzo distopico per ragazzi, a metà tra avventura, fantasy e fantascienza, con il giusto equilibrio di temi affrontati tra cambiamento climatico, storia dell'Ue e un buon ripasso di geografia, con sprazzi di citazioni da filosofi, film, libri capolavoro come "Il mondo di ieri" di Stepan Zweig e canzoni di pace.

E' diventato una fotografia fin troppo attuale con la guerra in Ucraina: macerie dappertutto, distruzione, attacco alle centrali nucleari, fuga, fame, freddo. E sopravvivenza, tenacia, resistenza contro il nemico che ha portato alla fine del nostro mondo, "gli uomini del gas". E' "Fiume Europa" di Andrea Atzori e Andrea Pau Melis per Einaudi Ragazzi, finito di stampare nel giugno 2019 e in uso nelle secondarie di primo grado. A stupirsi di tanta "preveggenza" non sono solo i lettori, ma gli stessi autori. "Non nascondo che per me sono giorni di tensione e paura, - risponde a Tgcom24 Andrea Pau Melis. - Pochi mesi dopo l'uscita del libro sono stato proprio in Ucraina, a Odessa, come ospite di un Festival letterario e mai mi sarei aspettato di dover assistere, dopo nemmeno tre anni, all'assedio di quella città e delle persone che ho conosciuto".

 

"Fiume Europa", in breve, è il viaggio lungo il fiume Reno, dal lago di Costanza fino a Rotterdam, di 5 giovanissimi sopravvissuti alla distruzione del Vecchio continente. L'obiettivo è rifondarlo. Nella fantasia degli autori le vicende dovevano essere ambientate nel futuro, ma l'attualità sembra avvicinarle a questo 2022. Quanto tale parallelismo è oggi azzardato?
"Come autori si era pensato a un futuro molto prossimo, senza dare troppi riferimenti; le tecnologie menzionate sono, infatti, vicine a noi. Spero proprio di no, con il senno di poi, ma il libro può essere ambientato ai giorni nostri. D'altronde c'erano già al momento della stesura le condizioni che portano ai sommovimenti politici sottesi nel libro. Certo, mi auguro che oggi non si arrivi alla catastrofe che abbiamo descritto. Che rimanga solo alla narrativa la possibilità di immaginare il peggior scenario possibile. E dare il lieto fine. Non solo perché parliamo di un libro per ragazzi, farei lo stesso per un pubblico adulto: per gli esseri umani c'è sempre un modo per uscirne. E' successo anche dopo una grande tragedia come la Seconda guerra mondiale. E proprio da quelle ceneri nacque l'Europa che conosciamo, gli uni accanto agli altri. Anche se è ipocrita dire che in essa per 70 anni c'è stata la pace. Basti ricordare l'ex Jugoslavia".

 

Nell'Europa del 2019 che vi aveva ispirato a immaginare la fine di Strasburgo e muri e frontiere in ogni Paese soffiava il vento del separatismo e del sovranismo, vedi la Catalogna di Puidgemont e il filo spinato dei Paesi di Visegrad. Oggi la guerra è realtà a pochi chilometri da noi. Anche stavolta "i vecchi hanno fallito", come scrivete, e saranno i ragazzi a "ricominciare"?
"Per visione personale vedo delle differenze nei due esempi: la Catalogna ha affrontato processi democratici di separatismo, mentre per i cosiddetti Paesi di Visegrad si può parlare di nazionalismo 2.0. Oggi sembra tutto spazzato via da Putin, anche se, in testi recentissimi, si analizza il suo sostegno nel recente passato alla disinformazione nel tentativo di disgregare l'Europa. Se saranno proprio i ragazzi a ripartire? Credo proprio di sì e per questo vanno ascoltati, in primis, dalla politica, senza la solita aria di sufficienza. E senza sbeffeggiarli, come accade su temi come l'ambiente. Anche incontrandoli nelle scuole, i giovani dimostrano che, di questa lettura profonda che hanno fatto, non rimangono in loro le scene di distruzione e violenza, ma i momenti di affetto, le prove di amicizia, la speranza di rinascita finale. Ascoltiamoli, meritano rispetto. E diamo loro spazio".

 

Quale sarebbe oggi il fiume da scendere per far risorgere il mondo, che sembra sprofondato ai tempi bui di 80 anni fa?
"E' una bella domanda, ma io più che a un fiume da scendere o risalire penso ai ponti che permettono di attraversare i fiumi. E, quindi, penso ai ponti di Kiev sul Dnepr, per esempio, che oggi vengono bombardati. Dovrebbero esserci più ponti. E che non venga mai più distrutto ciò che unisce e permette di muoversi da una sponda all'altra".

 

La compattezza mostrata finora dall'Unione europea davanti all'invasione russa potrà essere la mossa giusta per evitare di dire, citando uno dei protagonisti, "non c'era più Casa"?
"La nostra Casa, l'Europa, è comune e va preservata, ci dà un tetto, riparo. E' certamente un'istituzione con criticità gigantesche, ma queste criticità non devono essere pretestuose, non devono essere usate per il consenso politico nei singoli Stati. Il mondo ideale del Manifesto di Ventotene è senza confini e frontiere, in esso le differenze culturali presenti vengono mantenute perché sono una ricchezza".

 

Alla catastrofe raccontata nella trama contribuirono l'analfabetismo di ritorno e i roghi di libri. Anche oggi la Cultura è stata suo malgrado trascinata nel conflitto russo-ucraino. Come la salveremo? Come si salverà?
"Il caso di Paolo Nori è esemplificativo: pur di evitare contrasti su uno scrittore russo, peraltro non contemporaneo, - ma sarebbe lo stesso se lo fosse stato, - non se ne parla. Invece l'unico modo è conoscere la cultura, conoscere i suoi rappresentanti e anche criticarli se non ci piacciono. Nel romanzo abbiamo immaginato protagonisti che hanno perso la capacità di leggere. Ed è quello che vediamo oggi: sui social ci si scontra per incomprensioni su un testo scritto e per la poca tendenza al pensiero critico. Di mio sono una persona molto polemica, ma questo non mi porta a chiudere le porte agli altri. Ed è quello che dovrebbe accadere sempre. Bisogna parlare e parlarsi in un confronto costruttivo e sui fatti".

 

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