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De Chirico, Savinio e Les Italiens de Paris

A loro e alla loro avventura parigina è dedicata la mostra, curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, al Museo di Arti Decorative Accorsi - Ometto di Torino (21 ottobre 2021 - 30 gennaio 2022)

Torino, al Museo Accorsi la mostra "Parigi era viva. De Chirico, Savinio e Les Italiens de Paris"

"Andai a Parigi e divenni italiano. Ci contrapponevamo alle tendenze allora in voga: gli espressionisti, i cubisti (ma erano amici). Abbiamo lottato e abbiamo vinto. E questo è dovuto anche alla fedeltà delle nostre matrici" ricorda Mario Tozzi che con Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo de Pisis, René Paresce e Gino Severini è tra i protagonisti della meravigliosa avventura de Les Italiens de Paris. Sono parole in cui si coglie l'orgoglio di aver lottato, ma soprattutto la motivazione per cui questi sette artisti, apparentemente così diversi l'uno dall'altro, si sono ritrovati uniti in una vicenda, quella degli "Italiens", che ha contribuito a ridisegnare le sorti della nostra pittura.

Il fil rouge che li unisce è la loro italianità, che non è da intendere come una condizione di nascita (peraltro solo De Pisis, Severini e Tozzi erano nati in Italia, de Chirico e Savinio in Grecia, Paresce in Svizzera, Campigli in Germania), ma come consapevolezza di un'identità culturale comune e radicata, fonte imprescindibile di ispirazione e riferimento riconoscibile nei loro dipinti. Tutti loro si sono nutriti del linguaggio classico, della
cultura mediterranea e della sua sapienza tecnica per poter creare una mitologia moderna, indubbiamente avanguardista, sognatrice e affabulatrice, sottilmente venata di metafisica e in grado di competere, in terra francese, con gli esiti tardo-cubisti, ma anche con le visionarie pitture surrealiste e i ritorni rinascimentali di Picasso o Derain, tanto per fare due nomi.

 

Una scommessa, la loro, che inizia nel 1928, anche se tutti i componenti sono nella Ville Lumière da tempo (Severini addirittura dal 1906, de Chirico vi approda una prima volta nel 1911 per tornarvi nel 1924; suo fratello Andrea - alias Alberto Savinio - vi soggiorna già nel 1910 e nel 1926; Paresce vi arriva nel 1912, Tozzi e Campigli nel 1919 e De Pisis nel 1925), e che si concluderà nel 1933: in cinque anni porteranno l'Italia sulla scena internazionale, rendendoli appetibili alla politica culturale mussoliniana e concorrenziali ai francesi. A loro e alla loro avventura parigina è dedicata la mostra, curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, al Museo di Arti Decorative Accorsi - Ometto di Torino (21 ottobre 2021 - 30 gennaio 2022).

 

La rassegna è suddivisa in sette sezioni, una per artista, a cominciare da Giorgio de Chirico con i suoi rimandi metafisici, evocati da opere come Le cabine misteriose (1934 c.) o Le muse in villeggiatura (1927 c.), i richiami classici di Pericle (1925), il "ritorno all’antico" con i gladiatori (Gladiatori o La lutte 1929 c.) e i monumentali nudi femminili (Les deux nus 1926). Prosegue con Alberto Savinio, del quale la serie di uomini dai volti di manichini, composti da assemblaggi di corpi nudi, si riconosce in Il ritorno di Ulisse (1928 c.), mentre l’elaborazione di paesaggi immaginari, caratterizzati da elementi geometrici fluttuanti nell’aria come giocattoli, è riscontrabile in opere come Le navire perdu (1928 c.). Continua con Massimo Campigli e i suoi riferimenti a modelli etruschi (Le Educande 1929-1930) e rupestri (Le arciere 1933) e con Filippo de Pisis e la sua pittura frammentaria – "a zampa di mosca”, come ingegnosamente la definiva Eugenio Montale. René Paresce è il protagonista della quinta sezione e in Natura morta del 1926 affronta la costruzione architettonica, nata dall’accorpamento di elementi geometrici giocati su diversi piani, al modo del cubismo di Georges Braque. A seguire c’è Gino Severini che tra il 1928 e il 1929 inserisce in scenografie neopompeiane i personaggi della Commedia dell’arte, che diventano protagonisti di temi amorosi, musicali e poetici (La leçon de musique 1928-1929).

 

La mostra si conclude con Mario Tozzi, forse colui che più di tutti ha creduto e in questa compagine e che già a partire dal 1924 aveva maturato l’idea di divulgare la conoscenza in Francia dell’arte italiana attraverso esposizioni e scritti nei quali sosteneva l’universalismo dello “spirito italiano”, da leggere nel più vasto orizzonte di una rigenerata “rinascita classica” dell’arte moderna.

 

Tra il 1929 e il 1930 l’universo di Tozzi si popola di figure archetipiche, architettoniche, realistiche e insieme idealizzate. La tensione plastica giunge al culmine in anatomie morfologicamente classiche e costruite con una materia argillosa, orchestrate in scenari silenziosi dove antico e moderno, concreto e astratto si conciliano. Ne sono esempi magistrali L’Officina dei sogni 1929 c., Personaggi in cerca d’autore 1929 c. e
Hommage à Claudel 1930.

 

Insomma, una settantina di opere restituiscono la bellezza dell’arte italiana e il clima cosmopolita e antitradizionale della Parigi di Matisse, Picasso, Derain, Léger, ovvero di quella città che Gualtieri di San Lazzaro in un suo libro aveva a giusto titolo definito “viva” e nella quale de Chirico sentiva ribollire lo spirito della modernità, come nell’Atene dei tempi di Pericle.

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