"La più bella dei mortali", scoprire Agrigento e la sua costa attraverso le persone che vi vivono
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Viaggio-racconto di Luca Bergamin tra le persone che vivono e fanno vivere Agrigento e la sua costa: scoprendo le loro esperienze ci si innamorerà di questa terra e di questo mare. Per Tgcom24 l'estratto dedicato a Punta Bianca
La più bella città dei mortali è una frase che pronunciò Pindaro, poeta greco vissuto nel V secolo a.C, a proposito di Agrigento, rimarcando così la superba Valle dei Templi e anche i suoi limiti. Sembra uno spaccato valido ancora oggi e, se ci pensate, perfettamente adatto a ogni realtà dell’universo che, per quanto eccelsa sul piano paesaggistico, artistico, storico, gastronomico è pur sempre destinata a possedere difetti o una durata limitata. Il fascino di essere mortale, effimera spaventa e al tempo stesso attrae. Si vorrebbe che il bello durasse in eterno. Invece la sua limitatezza dimostra che la perfezione non esiste.
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Agrigento e la sua costa, da Licata a Sciacca sino a sbarcare sull’isola di Linosa, ovvero le coordinate geografiche di questo libro intitolato appunto La più bella dei mortali, edito per i tipi Ediciclo (pagine 256, euro 18), sono proprio così, eccezionali per la ricchezza geologica, culturale, artistica eppure fallibili. Assomigliano agli esseri umani che le abitano e che ne sono autori: essi sono i protagonisti di questo racconto-viaggio, volto a dimostrare che sono le persone a fare i luoghi e viceversa. Leggendolo, ci si innamorerà di questa terra e mare indissolubilmente legati l’una all’altro eppure dotati di una propria individualità. Tra le sorprese più entusiasmanti c’è Punta Bianca.
Ecco il capitolo che la riguarda:
Laddove, a Oriente, si esaurisce il Golfo di Agrigento, c’è una colata di bianco che desta meraviglia. Il promontorio di Punta Bianca, collocato proprio all’opposto di Punta Grande ovvero l’estremità occidentale dell’insenatura che comprende anche la località balneare cittadina di San Leone, appare come una piuma candida e solida: spesso capita che le barcacce salpate dalle coste libiche trasportando persone speranzose di trovare al di là del mare una vita più felice, siano portate alla deriva proprio in questa insenatura, non capendo bene in quale pianeta siano giunte tanto è straordinaria questa falesia formatasi sei milioni di anni orsono quando Mar Mediterraneo e Oceano Atlantico si separarono. La perdita di salinità e le inondazioni cagionarono l’erosione dei fondali, così gusci calcarei composti da microfossili e macrofossili formarono questo assurdo, incantevole biotipo dalle sfumature di roccia calde ed entusiasmanti, in pratica un pantone di bianco, beige, grigio che si alternano come onde. Questo promontorio, partitura di marne che dà l’impressione di un fondale marino, di un tesoro emerso in superficie composto anche da cristalli e gessi rimase a lungo nel Novecento e nei primi due decenni del Duemila una zona segreta, vietata, occlusa nonostante fosse la stazione di partenza per prendere il largo verso il Mare d’Africa di colore cobalto. Qui, infatti, soltanto l’esercito militare italiano poteva accedere essendoci un poligono di tiro che è stato utilizzato sino a poco tempo fa.
Raggiungere Punta Bianca voleva dire rischiare di essere colpiti dalle pallottole o incorrere nelle ire dei militari. Claudio Lombardo è senza dubbio l’uomo che più di tutti ha lottato per tutelare questo piccolo paradiso. Fa il medico e soprattutto è responsabile dell'associazione ambientalista MareAmico. La cura delle persone e dei luoghi sono sempre stati la sua missione. La sua automobile è carica di oggetti e procede velocemente quando attraversa la zona impiegata come poligono di tiro. “Non ci creerà alla storia che le sto per raccontare, perché è assurda, eppure rivelatrice dei tempi che stiamo vivendo. Comunque, qui si è sempre sparato, si sentivano i sibili delle pallottole. Fino a quando non è apparsa lei”. Claudio guarda negli occhi il suo interlocutore e sorride. Eppure è andata proprio così.
Un bel giorno, come nelle favole, compare lei, la principessa venuta dall’Argentina che brandendo l’arma più acuminata e potente di cui disponeva, ovvero lo smartphone, riuscì in quell’impresa che le associazioni ambientaliste siciliane e nazionali non avevano mai portato a compimento. Belen Rodriguez, infatti, proprio lei, scrisse poche ed efficaci parole in un messaggio postato sul proprio profilo instagram: “Punta Bianca è un luogo meraviglioso e unico, che meriterebbe una migliore valorizzazione, in senso turistico e ambientale. In questa zona esiste da 63 anni un poligono militare, le cui esercitazioni stanno distruggendo i luoghi, distruggendo le strade di accesso e bloccando la fruizione turistica, mentre le associazioni ambientaliste locali aspettano da 25 anni che sia riconosciuta dalla Regione Sicilia quale riserva naturale. E quindi vorrei finire con un appello al presidente Musumeci, affinché istituisca la tanto agognata riserva naturale”. Una denuncia e appello che dal social network privato della showgirl arrivò diritto a destinazione spingendo il presidente della Regione, Musumeci, nell’arco di poche ore a dichiarare che avrebbe subito dato vita ufficialmente all’iter per riconoscere la Riserva protetta di Punta Bianca e Scoglio Patella inserendola nel Piano regionale dei parchi e delle riserve”. Belen, accompagnata su questa architettura immacolata per posare in occasione di un servizio fotografico che la voleva protagonista, riuscì dunque a portare all’attenzione nazionale questa situazione che stava mettendo in grave rischio il futuro di Punta Bianca, da tutti amata e da tutti frequentata di nascosto, come un amante non ufficiale. Ancora il miracolo burocratico non si è compiuto, ma almeno non si spara più in quello che era il poligono di Contrada Drasy e si può raggiungere questo sperone di roccia che richiama nella sua forma sporgente verso il mare la prua di una nave fatta di calcare, mentre alle sue spalle si susseguono i calanchi, le valli, le calette e le spiagge di sabbia e sassi.
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Così come salendo sul Monte Grande ecco stagliarsi all’orizzonte la città, Capo Rossello, all’interno di uno scenario naturalistico che vede lentischi, mirto, palme nane, finocchio selvatico punteggiano di verde tra la foce del Vallone di Sumera e il Castello di Montechiaro. Rimangono tracce del violento e duro passato come i ruderi delle strutture e attrezzature servite per il traffico dello zolfo cominciato addirittura in epoca micenea, nonché i bunker risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, che qui era sembrata in un certo senso continuare a causa proprio delle esercitazioni militari. Legambiente, Marevivo e Mareamico hanno lottato a lungo anche per il recupero dell’ex caserma della Guardia di Finanza, ovvero la casupola adagiata sulla estremità di Punta Bianca, ormai priva di tetto e finestre, e chissà che non riescano nell’intento di destinarla a sede di un museo ecologico antropologico, in cui i viaggiatori e gli studenti possano conoscere la storia di questa riserva naturale e delle creature degli abissi: sembra la casa di un farista, solitaria, assisa sulla roccia, a lungo abitata dai finanzieri che dalle sue finestre potevano controllare questo braccio di mare e intervenire in acqua allorquando avvistavano i contrabbandieri.
Prima del tramonto, tanti adesso arrivano anche in sella al cavallo, oppure a piedi dopo avere seguito un sentiero di trekking che potrebbe cominciare dal Villaggio Mosè, per proseguire lungo Viale Cannatello, seguendo successivamente le indicazioni per Zingarello. Guardano e riconoscono nello smartphone questi luoghi presenti nel video della canzone “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” che la cantante Gianna Nannini, saltellante tra le marne, ha sentito subito come suoi, innamorando perdutamente. Anche alla rock star senese è stata sicuramente raccontata la storia del piroscafo Almerian che cadde a picco a cinque miglia al largo di Punta Bianca, a una profondità di quasi venti metri e ancora adesso lì giace il relitto dell’imbarcazione appartenente alla compagnia Leyland Line, deputato al trasporto dello zolfo sulla rotta per il porto inglese di Liverpool, che fu colpita nell’ottobre del 1918 dal sommergibile tedesco U-Boat 73. Quest’ultimo, qualche tempo più tardi, avrebbe scelto di affondarsi volontariamente per non cadere nelle mani della Marina britannica: un doppio anzi triplo destino funesto, visto che l’Almerian, qualche anno prima, era stata l’ultima nave che, il 14 aprile del 1912, riuscì a incrociare il Titanic e a salutarlo con le sue sirene, ammirandone la superba bellezza, e soprattutto senza mai immaginare quale sarebbe stata la sua imminente e tragica sorte.
Poco più avanti, in direzione di Licata, si staglia all’orizzonte su di un costone di roccia il castello trecentesco di Palma di Montechiaro che, come Punta Bianca, sovrasta il mare. Solitario, dall’architettura severa e accigliata, è stato decisivo per fronteggiare i pirati che sopraggiungevano dal mare. Dopo la morte di Andrea Chiaramonte, tra i nobili siciliani più importanti del XIV secolo essendo il titolare delle contee di Modica, di Chiaramonte, di Malta, e degli uffici di vicario generale e di ammiraglio del Regno di Trinacria. I beni furono confiscati alla sua famiglia e il maniero passò ai Moncada che ne cambiarono il nome in Montechiaro per far dimenticare in fretta i feudatari precedenti. Quelli a loro successivi, ovvero i Tomasi, ebbero miglior fortuna. Carlo Tomasi Caro in particolare ricevette dal re Filippo IV il titolo di duca di Palma, ma preferì a tali onori e oneri i voti cosi, abbracciata la vita monastica, cedette tutte le proprietà al fratello Giulio che fu nominato duca di Palma e principe di Lampedusa. Giuseppe Tomasi, autore del Gattopardo, lo frequentò molto da ragazzo, riconoscendo sempre l’influenza letteraria che questo avamposto turrito sul mare aveva avuto nella sua vicenda di scrittore.
Pochi giorni prima di dare alle stampe il libro, abbiano sentito Claudio Lombardo ancora una volta per chiedergli se è riuscito nel suo intento. “Purtroppo l’iter burocratico non è terminato, E le persone vengono ancora qui a bivaccare, a sgommare con le motociclette, a piazzare le reti da pesca. Non sappiamo per certo quando arriverà l’ufficialità - dice Claudio - e potremo richiedere così i finanziamenti necessari per recuperare anche la caserma dei finanzieri e farne un museo. Però siamo vicini, ce la faremo”. Ha sempre entusiasmo il medico di Punta Bianca che ha iniziato questa crociata nel lontano 1996, anno di nascita di sua figlia Martina. “Lei adesso è una donna alta 180 centimetri che gioca a pallacanestro in serie A, e io sono ancora in attesa, insieme agli altri volontari. E pensare che proprio nel 1996 presentai la fatidica domanda. Rispetto ad allora, la sensibilità delle persone è cresciuta, facciamo venire qui le scuole da tutta la Sicilia, coinvolgiamo i ragazzi e gli adulti in opere di pulizia: non vogliamo che questo promontorio bellissimo cada nel degrado per colpa del ritardo delle istituzioni. Va salvato presto, subito!”.
Anche perché attorno a Punta Bianca c’è un mondo alato che gravita nella sua orbita da molti anni. Nel mese di marzo, in particolare le marzaiole, uccelli appartenentesi alla famiglia degli Anatidi, sostano a Punta Bianca lungo la rotta che dall’Africa le riporta in Europa. Sono centinaia di migliaia, e si distendono sull’acqua depositando su di essa un enorme mantello grigio. “Tutto l’anno ci sono i delfini che seguono i pesci e saltellano davanti ai nostri occhi. Questa zona si chiama Drasy, che in siciliano si trasforma in Trasi ovvero un invito all’apertura”.
Ecco, forse adesso Belen Rodriguez dovrebbe tornare qui, e farsi fotografare di nuovo per mandare un ulteriore messaggio alla lenta, farraginosa politica affinché compia l’ultimo passo prima che delfini e marzaiole vadano via, e Punta Bianca si sciupi."