ARTE DELLA CUCINA GIAPPONESE

Il miglior sushi d'Italia? È a Prato

Più di 70 viaggi in Giappone per lo chef Francesco Preite, che imparata l'arte la applica da Moi, il ristorante a Prato di 10 posti dove non si sceglie il menù

24 Lug 2023 - 07:00
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© UFFICIO STAMPA  | Chef Francesco Preite© UFFICIO STAMPA  | Chef Francesco Preite© UFFICIO STAMPA  | Chef Francesco Preite© UFFICIO STAMPA  | Chef Francesco Preite

© UFFICIO STAMPA | Chef Francesco Preite

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Questa è la storia di due imperatori, lontani tra loro moltissimi secoli e chilometri, ma uniti da un filo sottile. E non parliamo di un “filo” letterale, bensì di quello molto tagliente di una lama giapponese manovrata da uno chef italiano.

Ma andiamo con ordine. Il primo imperatore di questa storia è (anzi, sarebbe meglio dire, sono) i Mikado. Questo titolo designa infatti il regnante del Giappone da ormai millenni, ed è grazie all’unità ed alla prosperità del regno che nel paese del Sol Levante si sono potute sviluppare le tipologie più disparate di arte, come la poesia, il teatro e ovviamente una delle cucine più raffinate e tecniche del mondo.

Una cucina che per essere veramente capita e praticata ha bisogno di tanto lavoro, sacrificio e dedizione. Non a caso lo chef italiano protagonista della nostra storia, Francesco Preite, per impararla ha compiuto negli 20 anni più di 70 viaggi nella terra del Sol Levante, facendo stage e periodi di studio e pratica accanto a itamae di altissimo livello.

Uno studio costante che lo ha portato a conoscere ogni aspetto dell’arte del trattare il pesce crudo, e che lo ha motivato ad aprire il proprio ristorante.

E qui entra in scena il secondo imperatore, ovvero Federico II di Svevia. Fu proprio lo Stupor mundi infatti a voler edificare a Prato un grande castello che nell'ambito della lotta per il predominio in Toscana tra l'impero e il papato che caratterizzò i decenni a cavallo del 1200.

All’ombra di quello che oggi è il simbolo del capoluogo toscano, Francesco ha deciso di aprire il suo omakase, un ristorante che sia come stile di servizio sia come proposta gastronomica ha pochi rivali in Italia.

Moi infatti è un ristorante posto in un ambiente unico, composto da una grande sala dove un bancone a forma di L si srotola intorno alla cucina-palcoscenico dietro a cui lavora Francesco Preite. Dieci sedute in tutto, per altrettanti ospiti che sono qui per provare venti assaggi al buio, provando la formula dell’Omakase. Il significato di Omakase è infatti traducibile in "fai tu" o “mi fido di te” in giapponese, ad esprimere la totale fiducia nel maestro che sta dall'altra parte del banco. Perché il vero estimatore del sushi non sceglie mai dalla carta, ma si affida all’itamae.

Al Moi gli ospiti arrivano tutti insieme e l'inizio dell'unico turno è alle 21 per un percorso di 18 portate, che generalmente si avvia con un brodo caldo e poi si snoda attraverso i vari piatti pesce crudo. Una cucina che tecnicamente prende dal Giappone, ma a livello di ingredientistica vuol invece selezionare in miglior pesce con il minor impatto. Molti i tagli che vengono dal Mediterraneo, dal branzino del Conero affumicato con legno di ciliegio fino al pesce spada o al tonno rosso dell’Elba. Ma qui si assaggia anche un salmone selvaggio d'Alaska capace di far scordare anni d’allevamenti intensivi, oppure le straordinarie capesante di Hokkaido. Ad accompagnare il tutto varie tipologie di salsa di soia artigianali e non pastorizzate, gari (lo zenzero in salamoia) preparato personalmente dallo chef e il wasabi fresco, grattugiato al momento con l’apposita oroshigane in pelle di squalo.

Pensando alla precisione e al livello di concentrazione che vengono richieste al maestro, alla sua lunghissima formazione, non si esagera se si assimila questo lavoro a una forma d’arte, che al Moi di Prato si declina all’affabilità tipicamente italiana. La serata scorre avvolta in una generosa dose di convivialità fra i commensali, si chiacchiera, si ascoltano gli aneddoti e le storie di Francesco sulla cultura giapponese, e non solo, acquisite in anni di viaggi.

In un ambiente neutro e accogliente, con le ampie vetrate che proiettano all’interno le torri del Castello dell’Imperatore, lì fuori a pochi passi, che trasmette il senso di intimità di una casa.

Negli ultimi anni sono arrivati per Moi importanti riconoscimenti come i tre mappamondi della guida del Gambero Rosso, il premio migliore carta dei vini di ristorante etnico in Italia per la Milano Wine Week e il 2° posto della 50 Top Italy nella categoria sushi per il 2023, ma la verità è che qui si viene per vedere come due culture possano essere in costante dialogo. Perché alla fine gli imperi sono proprio questo: regni uniti fra loro che dialogano pacificamente. E Francesco ha creato il suo piccolo reame, dove tutto è possibile e ogni boccone può essere più sorprendente del precedente.

Di Indira Fassioni 

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