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Salute, 8 italiane su 10 praticano l'aborto in anestesia totale

In contrasto con le indicazioni a livello internazionale di Oms e Iss. Mentre il 76% richiede la dimissione volontaria dopo la somministrazione del farmaco Ru 486

infermieri ospedale ferita
ansa

L'82% degli aborti avviene in anestesia generale, "in contrasto con le indicazioni a livello internazionale" di Oms e Iss. Lo si legge nella relazione annuale sull'attuazione della legge 194/78, trasmessa dal ministro della Salute al Parlamento. Dal documento emerge anche che il 76% di chi ricorre alla pillola abortiva richiede la dimissione volontaria dopo la somministrazione del farmaco, nonostante l'obbligo dei tre giorni di ricovero.

Anestesia generale "sono le donne a preferirla" - Nonostante quindi le linee guida dell'Oms e dell'Iss, "molto spesso sono proprio le donne a chiederlo, perché preferiscono non sentire nulla. E comunque l'anestesia generale che si fa oggi dura pochi minuti ed è meno invasiva di quella che si faceva anni fa", chiarisce Giovanna Scassellati, responsabile del Centro Interruzione Volontaria di Gravidanza dell'Ospedale San Camillo di Roma.

Ru 486, necessario l'obbligo di permanenza in ospedale? - Dalla relazione emerge che "tra le donne che chiedono la dimissione prima dei tre giorni obbligatori, firmando un'assunzione di responsabilità, nel 97% dei casi non vi è alcuna complicazione". Per questo è necessaria una verifica al Ministero della Salute, per capire se sia realmente necessaria la permanenza in nosocomio. Per Silvio Viale, responsabile del Servizio 194 dell'Ospedale Sant'Anna di Torino e promotore dell'introduzione della RU486 in Italia: "E' un'ipocrisia, una norma inutile e vessatoria. Non c'è nessun motivo medico per tenere la donna in ospedale, quindi la circolare che lo prevede è destinata a non essere considerata". "In tutti i Paesi al mondo è registrata come ambulatoriale o domiciliare. Nessuno butta via i soldi in momento di crisi e taglio di posti letto", spiega. La prescrizione di un ricovero ospedaliero, inoltre, potrebbe tradursi in un disincentivo all'utilizzo dell'aborto farmacologico a base di mifepristone e prostaglandine, che non presenta i rischi dell'aspirazione. Utilizzo che invece sembra avere ricadute positive. La relazione, infatti, sottolinea la crescita del numero di interruzioni entro le 8 settimane di gestazione, collegandola all'aumento della diffusione della pillola RU486, che tra il 2010 e il 2011 è raddoppiato, passando dal 3,3% del totale delle interruzioni volontarie al 7,3%.

oms