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Migranti, la storia del piccolo Aylan non è solamente una foto-simbolo

Tgcom24.it ha deciso di non pubblicare lʼimmagine del bimbo siriano esanime su una spiaggia turca dopo una traversata. Abbiamo realmente bisogno di uno scatto così forte per smuovere le coscienze?

Ieri abbiamo fatto una scelta, quella di non pubblicare la foto del corpo del bambino siriano esanime nella spiaggia di Akyarlar, in Turchia.

E' uno scatto forte, un simbolo della tragedia che si sta consumando nel Mediterraneo e che rimarrà nella memoria. L'immagine nel giro di poche ore ha fatto il giro del web, è stata usata da qualche telegiornale ed è stata poi ripresa il giorno dopo da diversi quotidiani.

Noi abbiamo preferito rimanere coerenti con la nostra prima scelta e di non pubblicare nè quella foto nè le altre del servizio, compresa quella dell'agente della polizia turca che solleva il corpicino del piccolo dalla sabbia. Forse siamo venuti meno al nostro dovere di informare, ma questo non vuol dire girarsi dall'altra parte, fare finta che nulla sia successo in quella spiaggia turca come in un'altra qualsiasi spiaggia dove continuano gli sbarchi. Del resto, quotidianamente e tristemente, ormai da parecchie settimane, molte aperture di Tgcom24.it hanno riportato le notizie sul dramma dei migranti.

Aylan, il bimbo della foto, aveva solo tre anni, scappava dalla Siria con i genitori e il fratellino Galip di cinque. L'unico sopravvissuto della tragica traversata è il padre che, come le migliaia di siriani in fuga da un Paese che non esiste più, cercava di raggiungere il Nord Europa iniziando un lungo viaggio della speranza dalla Turchia.

L'immagine di Aylan, come hanno scritto in parecchi, ha la stessa forza di quella del bimbo con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia e dell'altra della bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm. Ma il presente, la realtà che stiamo vivendo in questi giorni, non ha bisogno solo di simboli, ma anche -e soprattutto- di azioni serie e concrete. Non si può pensare a una soluzione semplicemente
alzando muri o marchiando le persone su un braccio. Abbiamo realmente bisogno di un'immagine così forte per smuovere le coscienze?