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I numeri dell'agroalimentare italiano

Tutelando e promuovendo i prodotti italiani, il governo intende far crescere le esportazioni fino a toccare i 50 miliardi di euro nel 2020

alimentazione, cibo, uva
agenzia

Il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) intende, attraverso cinque linee d'azione presentate in occasione degli Stati Generali delle Indicazioni Geografiche, tutelare e promuovere i prodotti agroalimentari italiani Dop e Igp, a livello nazionale ed internazionale.

Dove la presenza di prodotti contraffatti danneggia uno dei settori più importanti della nostra economia.

Secondo una stima della Coldiretti, infatti, i cosiddetti italian sounding – ovvero tutti quei prodotti che si spacciano per italiani – costano al nostro Paese 60 miliardi di euro (circa il doppio del valore dei “veri” prodotti italiani esportati, pari a 34,3 miliardi) e ben 300 mila posti di lavoro che potrebbero essere creati con un'azione di contrasto dei prodotti contraffatti. Cifre da capogiro che non hanno impedito comunque la crescita di un settore, in grado di resistere anche alle difficoltà della crisi economica.



Nel periodo compreso tra 2007 e il 2014, il comparto agroalimentare ha reagito bene al crollo dei consumi interni: il settore ha perso soltanto 3 punti percentuali di produzione (contro i 24 del manifatturiero, ad esempio) e incrementato le esportazioni di 48 punti percentuali (contro i 9 dell'export totale). Un risultato prevedibile – in genere la spesa alimentare è l'ultima ad essere tagliata nei momenti economicamente difficili –, ma possibile grazie anche all'appeal dei prodotti agroalimentari italiani.



Nonostante le difficoltà della crisi economica e la presenza ingombrante degli italian sounding, a livello mondiale, tante sono le persone che acquistano un prodotto alimentare italiano ogni anno: 1,2 miliardi, stando ad una stima di Federalimentare. Secondo cui 750 milioni possono essere considerati consumatori fidelizzati.



Tuttavia, pur crescendo a ritmi sostenuti (tra il 2004 e il 2014, il valore dell'export agroalimentare è cresciuto dell'83,8% contro il +46,1% del totale italiano), l'incidenza delle esportazioni agroalimentari sull'export complessivo è ancora molto bassa (l'8,4% nel 2013) soprattutto nel confronto con i principali Paesi concorrenti come Spagna (15,7%) e Francia (13,6%). Tuttavia qualcosa potrebbe cambiare. Entro la fine del decennio, infatti, il governo vuole esportare beni agroalimentari per un valore complessivo di 50 miliardi di euro. Si tratta di un obiettivo alla portata della nostra economia? Sì, sostiene una stima del gruppo Sace.



Concentrandosi sui prodotti agroalimentari di punta (carni, cacao, preparazioni di ortaggi, legumi e frutta, formaggi e latticini, mele e pere fresche, caffè, olio d'oliva, salsicce e salumi, pasta e vini) e su dieci geografie particolarmente rilevanti per ognuno di essi, osserva Sace, sarebbe possibile aumentare l'export di oltre 7 miliardi di euro entro il 2018, arrivando già a quota 40 miliardi. A dieci miliardi soltanto di distanza dal target posto dal governo e che, una volta raggiunto, potrebbe consentire la creazione di 100 mila nuovi posti di lavoro.