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Roger Waters, un atto d'accusa al mondo di oggi nel segno dei Pink Floyd

Esce venerdì 2 giugno "Is This The Life We Really Want?". Sulla graticola leader incapaci e stili di vita senza valori. E la musica affonda nel passato glorioso di Waters e soci

Roger Waters, un atto d'accusa al mondo di oggi nel segno dei Pink Floyd - foto 1
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Esce venerdì 2 giugno "Is This The Life We Really Want?", il nuovo e attesissimo album di Roger Waters.

Per l'ex leader dei Pink Floyd si tratta del primo album di inediti da "Amused To Death" del 1992. Un album che da un punto di vista sonoro riprende molti temi floydiani, con testi fortemente politici nello stile dell'artista inglese. A 73 anni una sorta di eccellente summa della sua carriera.

Di fronte a un album del genere la domanda principale da porsi è se sia lecito, per chi ha incarnato l'avanguardia nel rock, mettersi oggi in una posizione musicalmente di retroguardia, in un lavoro che cita il proprio passato in maniera evidente. La risposta è sì. Intanto perché quando i Pink Floyd erano avanguardia avevano dai 20 ai 30 anni, e quindi toccherebbe ai giovani di oggi porsi l'onere di rompere gli schemi e cercare nuove vie. Secondariamente in tempi come questi, dominati dalla "retromania", il continuo riutilizzo di stili ed elementi del passato, un disco come "Is This The Life We Really Want?" non solo non stona ma assume una propria dignità storica oltre che artistica dal momento che Waters non copia o scimmiotta qualcuno, ma utilizza tutto il proprio bagaglio. Nel migliore dei modi.

Roger Waters, un atto d'accusa al mondo di oggi nel segno dei Pink Floyd - foto 2
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Quì c'è un pezzetto di "Animals", lì una sonorità di "Wish You Were Here". In un passaggio si rivivono i momenti sussurrati di "The Final Cut", in un altro riemergono le fobie di "The Wall". Eppure tutto è coerente e sensato in quello che è l'atto finale di un'opera che, da un certo punto in poi, da quando Waters ha preso in mano le redini dei Pink Floyd con piglio via via sempre più dittatoriale (fino alla rottura traumatica), ha seguito un suo percorso preciso.

Percorso che si delinea chiaro nei temi melodici e nelle armonie, ma che trova la propria ragion d'essere soprattutto a livello lirico, che è poi la discriminante decisiva tra i Pink Floyd di Waters e quelli di Syd Barrett prima e di David Gilmour poi. Che ci si trovi d'accordo o meno con le sue analisi, nella rabbia e nella lucidità che Waters usa per affondare il bisturi nelle distorsioni di una società con la pancia piena, ma vuota di valori, non si avvertono i 73 anni dell'autore. Se l'atmosfera dell'album in alcuni punti potrebbe trasmettere un'idea di rassegnazione, di questa non c'è nemmeno un briciolo nei testi, dove sembra di trovarsi di fronte a un giovane animato dall'istinto rivoluzionario contro ingiustizie e personaggi pubblici (Trump su tutti).  

Proprio la reazione all'attuale condizione politico-sociale (e in particolare all'elezione del presidente degli Stati Uniti, che Waters definisce senza mezzi termini "maiale" nei concerti e "leader senza cervello" nel libretto dell'album) ha spinto Waters a rimettersi in gioco in un terreno che sembrava aver definitivamente abbandonato per dedicarsi ad altri tipi di progetti o alle monumentali messe in scena live di "The Wall". L'album è stato prodotto e mixato da Nigel Godrich (già con Radiohead, Paul McCartney, Beck, U2) e merita un ascolto in cuffia per apprezzarne tutte le sfumature sonore. Anche questa è in fondo una cosa un po' retrò.