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Manic Street Preachers, una resistenza che è tutt'altro che futile

Eʼ uscito "Resistance Is Futile", nuovo album in cui la band gallese torna alle sonorità dei grandi successi

Manic Street Preachers, una resistenza che è tutt'altro che futile - foto 1
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Si intitola "Resistance Is Futile" l'album con cui i Manic Street Preachers tornano sulla scena dopo 4 anni di silenzio.

Dopo "Rewind The Film" del 2013, largamente acustico, e "Futurology" del 2014, caratterizzato da un'elettronica glaciale, il tredicesimo lavoro della loro carriera segna il ritorno dei gallesi al loro suono più classico, quello da stadio rock venato di malinconia che ha segnato i loro più grandi successi.

Può essere strano leggere uno slogan come “la resistenza è futile” per un gruppo che ha fatto dell'atteggiamento, anche politicamente, barricadero un punto d'onore. Tempo di alzare bandiera bianca per un gruppo che non si ritrova più nei tempi che viviamo o che va avanti con qualche difficoltà di troppo? D'altro canto la storia dei Manics negli ultimi anni è andata avanti a singhiozzo, tra greatest hits, lunghi periodi di pausa ed esperimenti sonori fuori dal seminato. Segno che superati i vent'anni di carriera il rischio di perdere la bussola si è fatto più volte concreto. Tanto che gli stessi componenti del gruppo hanno spiegato che la realizzazione di "Resistance Is Futile" è partita a fatica, salvo trovare un'impennata di ispirazione negli ultimi mesi.

E invece qui c'è tutto tranne che una ritirata, ma solo un adeguare se stessi al tempo che passa perché come dicono nel pezzo di apertura “People Give In”, “people get tired / people get old”. E' evidente come la soluzione all'impasse sia stata cercata nel combinare le due anime più forti del gruppo, quella energica e punk dell'esordio "Generation Terrorists", e quella più melodica con profusione di tastieroni che ha preso il sopravvento dopo la scomparsa del chitarrista originario, Richey Edwards nel 1995. Una svolta che ha portato a "Everything Must Go" e "This Is My Truth Tell Me Yours", i due album che sul finire degli anni 90 hanno trasformato la band in un fenomeno mondiale.

Manic Street Preachers, una resistenza che è tutt'altro che futile - foto 2
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Obiettivo raggiunto? In parte: la vena melodica e malinconica, in un disco che ha la memoria e la perdita come temi portanti, è preponderante, e avvolge gli episodi migliori. Che sono i due brani apripista “International Blue” e “Distant Colours”, ma soprattutto la già citata “People Give In” e “Liverpool Revisited”, il vero gioiello di tutto il pacchetto. Il brano è dedicato alle vittime della strage di Hillsborough del 1989, quando 96 tifosi del Liverpool morirono schiacciati e soffocati dalla spinta di migliaia di persone che volevano entrare nello stadio. Ed è qui che i Manics trovano la quadra perfetta tra epica e malinconia, energia e impatto emotivo. Come accade anche nella scura “Sequels Of Forgotten Wars” e nell'evocativa “In Eternity”.

Si rischia invece di girare a vuoto in un paio di brani nei quali non aiuta nemmeno una produzione a tratti discutibile (tra l'altro opera di una vecchia conoscenza come Dave Eringa, già produttore del secondo lavoro della band, “Gold Against The Soul”), con un eccessivo accento su tappeti di tastiere tutto sommato ordinari. Anche la tassa del duetto con voce femminile, ormai tradizionale da qualche album a questa parte, qui con The Anchoress in “Dylan & Caitlin”, poteva forse essere risparmiata a favore per esempio di "Concrete Fields" o “A Soundtrack Of Complete Withdrawal”, rimaste come bonus tracks nell'edizione deluxe. Edizione che merita di essere presa in considerazione anche perché, in un secondo disco, offre tutte le canzoni nella loro versione demo, e spesso, una maggiore asciutezza risulta benefica alla resa del brano.