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Gianluca Grignani celebra "La fabbrica di plastica" con un live: "Il suo messaggio di libertà è sempre valido"

Il cantautore porta il suo album più celebrato e controverso dal vivo domenica 16 ottobre al Fabrique di Milano. Tgcom24 ne ha parlato con lui


Gianluca Grignani celebra "La fabbrica di plastica" con un live: "Il suo messaggio di libertà è sempre valido" - foto 1
Daniele Cardone

Gianluca Grignani porta dal vivo il suo album più controverso e amato allo stesso tempo: "La fabbrica di plastica".

Lo fa domenica 16 ottobre al Fabrique di Milano con lo show "La fabbrica di plastica and only the best", lo speciale live dedicato all’omonimo album del 1996, dalle sonorità rock e internazionali, in cui il cantautore milanese affrontava tematiche, ancora oggi attuali, legate alla cultura e alla società. La grande forza di 'La fabbrica di plastica' è il messaggio di grande coraggio e, soprattutto, di indipendenza che dà - dice Grignani a Tgcom24 -. Era avanti a ogni cosa e non era assolutamente commerciale tanto quanto il rock allora lo fosse o sembrasse. Quel disco lì era veramente rivoluzionario".

 

 

"La fabbrica di plastica" 25 anni dopo: cosa c'è di attuale oggi in quell'album?

Cosa c’è di attuale oggi nella musica di oggi rispetto a quell’album? L’album, musicalmente è sempre stato indipendente e oggi forse lo è ancora di più, forse perché la musica è diventata molto più fruibile per tutti in maniera più classica e meno pensata, non per denigrarla, ma per realtà. La grande forza di "La fabbrica di plastica" è il messaggio di grande coraggio e, soprattutto, di indipendenza che dà.

 

Spesso si abusa della parola rock, "La fabbrica di plastica" è forse uno dei pochi album italiani che lo è sinceramente. Secondo te perché? In cosa è rock quel disco?

Oggi vado a vedere The Black Crowes, un gruppo che fa un rock anni 70. Non lo so cos’è rock. Bruce Springsteen è rock, ma non è rock. I Radiohead erano rock, non lo sono più, ma quando lo sono stati si capiva. Credo di essere rock, al di là di esserlo o meno musicalmente. Il rock è quello di Elvis Presley, imparato dal soul, da Robert Johnson. Il rock è della gente. E' la gente che decide cosa è rock e cosa no. Se mi chiedi la mia attitudine rock, vieni a vedermi dal vivo! Non so in cosa è rock "La fabbrica di plastica”, non so neanche se è rock: è un disco!

 

Quell'album viene oggi riconosciuto come un disco importante nel nostro panorama discografico ma all'epoca ti è costato molto. Tornassi indietro cambieresti qualcosa?

E' un disco che è costato sicuramente più alla casa discografica che a me! È un album che è riconosciuto, culturalmente parlando e che ha determinato la scelta che ho fatto a 24 anni di indirizzare i miei interessi verso la cultura o la popolarità, i soldi, la fama. Allora non sapevo dirlo, però quel disco ha evidentemente deciso che io pensassi di più alla cultura e, se la cultura è rock, vuol dire che ho messo insieme il divertimento, il movimento e il pensiero, senza che quest’ultimo debba essere necessariamente considerato pesante.

 

Gianluca Grignani celebra "La fabbrica di plastica" con un live: "Il suo messaggio di libertà è sempre valido" - foto 2
Ufficio stampa

Un album di quel tipo andava contro gli stereotipi e i progetti che la discografia aveva fatto su di te: è stata più incosciente voglia di essere te stesso o scientifica voglia di rompere certe catene?

La casa discografica è stata folle a credere che io non facessi quello che stavo facendo semplicemente perché lo avevo pensato, ed è stata folle a non seguirmi venendo completamente contro di me. E' stata ancora più folle perché ha perso l’occasione di anticipare di 10 anni una rivoluzione, ma è stata semplicemente quella che doveva essere. Quello che non dovevo essere io, sono stato io, ma quello che soprattutto la gente ha deciso che io fossi e che sono, è la vera rivoluzione.

 

A metà anni 90 venivamo dall'ondata grunge e il rock aveva uno spazio importante. Secondo te perché "La fabbrica di plastica" ha fatto fatica a farsi capire?

“La fabbrica di plastica” è un disco molto più difficile di quello che poteva essere “In Utero” dei Nirvana, “Ok computer” dei Radiohead o “Pop” degli U2 che (che fecero quel disco dopo che Bono Vox lo ascoltò, pensando che se in Italia qualcuno faceva un disco del genere dovevano esagerare). E' un disco difficile per com’è mixato, per com’è nato, per come suonava, era avanti a ogni cosa e non era assolutamente commerciale tanto quanto il rock allora lo fosse o sembrasse. Quel disco lì era veramente rivoluzionario, perché non doveva esserci. Non so come ho fatto a farlo. Ho solo deciso di rischiare di non fare più questo lavoro, ero pronto a non farlo più per quel disco lì, che anche a me suonava strano. Quindi la gente l’ha deciso!

 

Il fatto che il pubblico oggi ami molto quell'album e che la critica lo abbia rivalutato ti ha ripagato in parte di molte amarezze?

Non ho mai avuto amarezze perché la gente ha sempre apprezzato questo disco, sin dall’inizio. L’amarezza è quando si basano sui numeri di copie vendute. L’unico problema che c’è stato nel distacco delle copie vendute è stato il piccolo tempo logistico e mentale che può aver confuso me perché ero l’unico che la pensava in una certa maniera. Spesso questo era usato affinché potessi sbagliare, ma non l’ho fatto.

 

C'è una canzone che oggi più di altre ha resistito al passare del tempo, anzi, che magari all'epoca era troppo in anticipo sui suoi tempi?

Non ci sono canzoni mie che sono vecchie o nuove: questo è sempre stato il mio modo di scrivere, se si parla di “La Fabbrica di Plastica”. Quest’album ancora oggi è avanti e non lo dico solo io. Pensa quanto è stato distrutto il concetto di un ragazzo che aveva capito questa cosa in un Paese che poi avrebbe giustamente dato spazio ai Måneskin perché il web lo fa. Tu pensa come possa sentirmi io.

 

Cosa ti ha insegnato l'esperienza di quell'album?

Mi ha insegnato che tutte le volte che mi hanno detto che mi sbagliavo e hanno provato a confondermi, in realtà le persone avevano paura di me, ed è così ancora oggi. Mi ha insegnato che non devo essere troppo umile perché mi rendo conto di essere un artista, che quando prendo in mano la chitarra non faccio finta, che la gente vede in me quello che non hanno visto né i miei genitori (che non potevano saperlo) né quelli che provano a fare finta di non vederlo.

 

Cosa dobbiamo aspettarci dal concerto?

Non mi chiederei cosa aspettarci al concerto, ma cosa aspettarci da Grignani, dal concerto in avanti.

 

 

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