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Con "L'abisso" Davide Enia racconta a teatro un naufragio personale e collettivo

In scena dal 12 al 24 novembre al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Lʼintervista di Tgcom24

Con "L'abisso" Davide Enia racconta a teatro un naufragio personale e collettivo - foto 1
Ufficio stampa

L'abisso è quello del Mediterraneo che ingoia esseri umani e quello interiore di un uomo di mare. "L'abisso" è il titolo del nuovo spettacolo dello scrittore, drammaturgo e interprete Davide Enia, tratto dal suo romanzo "Appunti per un naufragio", in scena dal 12 al 24 novembre al Piccolo Teatro Grassi di Milano.

Un racconto per affrontare la tragedia contemporanea degli sbarchi sulle coste del Mediterraneo e "il tentativo di esplorazione di quello che ho visto e che mi è successo e in qualche modo ricostruirlo e riportarlo", come ha rivelato l'autore a Tgcom24.

Un teatro civile e necessario che fonde la sfera sociale e la politica contemporanea, e parla di vita e morte, partendo da storie individuali che creano una memoria collettiva. La messa in scena fonde diversi registri e linguaggi, gli antichi canti dei pescatori, intonati lungo le rotte tra Sicilia e Africa, e il cunto palermitano, sulle melodie a più voci che si intrecciano fino a diventare preghiere cariche di rabbia quando il mare ruggisce e nelle reti, insieme al pescato, si ritrovano i cadaveri. Oltre al grande successo decretato dagli spettatori lungo la tournée, lo spettacolo ha conquistato due premi significativi come l'Hystrio Twister e Le Maschere del Teatro Italiano.

 

Perché hai deciso di portare a teatro il tuo "Appunti per un Naufragio"? Avevi già in mente questo passaggio o è stato successivo alla scrittura?

In qualche modo non avevo esaurito il distanziamento tra me e i fatti che mi hanno trapassato e poi ho aggiunto qualche cosa che non ero riuscito a mettere nel libro e continuavo a nominare. Però rimane una filiazione diretta dal libro. Volevo mettere in qualche modo una distanza che fosse anche gestibile con la freddezza del tempo che ognuno vuole dedicargli: la lettura è un gesto intimo che appartiene alla persona. A me serviva in qualche modo come tentativo di suscitare un controllo su quello che mi è successo. Lo spettacolo di teatro invece è molto performativo: io mi rimetto in quella condizione emotiva di chi sta nominando per la prima volta le cose, rischiando di perdere il controllo volta per volta. Quindi è un altro movimento, per continuare il tentativo di esplorazione di quello che ho visto e che mi è successo e in qualche modo ricostruirlo e riportarlo.

 

 

Il titolo che hai scelto, oltre a rappresentare il Mediterraneo, cimitero d'Europa, a cosa si riferisce?

E l'ambivalenza di un abisso che è quello geografico del mare e un abisso che secondo me è quello della dignità di un intero mondo che la sta perdendo. E poi c'è l'abisso intimo e personale di ogni essere umano che è quello che dovremmo imparare a fronteggiare per riuscire ad avere in qualche modo un elemento di raffronto e di paragone con quanto sta accadendo.

 


Lo spettacolo ha anche una parte musicale importante composta ed eseguita da Giulio Barocchieri. Come si coniugano e intrecciano parole e musica?

La musica è parte integrante della drammaturgia e determina il testo e il testo determina la musica in un rapporto continuo. In teatro noi portiamo la parola che fallisce e la musica cerca di suturare questa ferita perché usa un linguaggio che è legato all'evocazione. Per i suoni avevo da subito molto chiaro l'intenzione di usare quelli della chitarra elettrica perché la realtà che ho conosciuto della frontiera è sporca e confusa e quei suoni distorti restituiscono esattamente la ferocia di quei luoghi.

 

La società contemporanea è percorsa da odio sociale, mancanza di etica, ricerca del facile consenso (a livello politico). Nel tuo romanzo una delle chiavi è il racconto di persone che aiutano e fanno la cosa giusta senza essere eroi e senza ideologie. Lo spettacolo è la tua forma di aiuto/salvataggio?

Lo spettacolo serve a salvare me stesso innanzitutto da quello che ho visto e da quello che ho vissuto. E poi in qualche modo lo spettacolo fa una cosa molto semplice che risale all'inizio del processo storico dell'umanità: dà voce ai primi interpreti della frontiera. In molti mi chiedono cos'è che bisognerebbe fare oggi. Non chiedetelo a me, bisogna ascoltare queste persone. E poi soltanto dopo, studiare ed elaborare un giudizio.


Nel periodo tra la scrittura di "Appunti per un Naufragio" e la creazione della spettacolo, intorno a te, che sei nella doppia veste di narratore-testimone, sono successi altri fatti analoghi in mare con relative reazioni politiche...

Intorno a me c'è stato un cambio della percezione globale. L'Europa è un continente che giorno dopo giorno è ancora più succube dell'ansia e dell'angoscia e della paura. Questo crea una distorsione dei fatti. In più, giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza, aumenta il burnout nelle persone che vivono e lavorano nella frontiera. La situazione si è potentemente aggravata. In ultimo è dai tempi delle leggi razziali che in Italia non si vedeva una vergogna del genere.

 


Che tappa del tuo percorso artistico a teatro rappresenta questo spettacolo?

Innanzitutto è uno spettacolo che mi vede tornare in teatro con Giulio dopo 11 anni dall'ultima produzione. C'è stato l'impulso di rimettere in gioco il vero terreno di scontro politico di questi anni: il corpo. Se c'è qualcosa che si può creare in teatro è una comunanza tra i corpi che sono in un medesimo spazio a ragionare e discutere di un tema che viene loro presentato. Quindi abbiamo i corpi, il bisogno di esplorare questo linguaggio e quello che è in qualche modo legato proprio all'origine stesso del teatro. Il teatro nasce per provare a raccontare, ragionare, riflettere, offrire una prospettiva su un dato problema nel presente. E i casi luminosi sono i momenti in cui nei teatri si interrogava sulla giustezza o meno di forzare leggi che erano considerate superate, violente. "L'Antigone" ne è un esempio eclatante. "L'Antigone" ci racconta una forzatura di una legge che offre una prospettiva, aprendo comunque una ferita nella coscienza collettiva. Questo secondo me deve fare il teatro oggi con la massima urgenza: cercare di ricreare una sorta di logica e di comunità dentro la quale si provi a raccontare quello che sta accadendo al presente. Siccome la verità è inenarrabile e indicibile, ha sempre bisogno della mediazione artistica.

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