Manifestazioni in tutta la Penisola. Anche quest’anno gli studenti scendono in piazza agguerriti più che mai: feriti e fermati in diverse città. Ma questo tipo di protesta ha ancora un senso oggi?
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I presupposti per un nuovo ottobre caldo tra gli studenti italiani ci sono tutti. Sembra ormai essere una tradizione quella di aprire il mese con proteste e scontri che partono proprio da quella fetta della popolazione ribelle e sognatrice che è rappresentata dai giovani. Studenti delle scuole superiori e delle università, molti di loro non ancora maggiorenni, si sono riversati nelle strade e nelle piazze delle principali città della Penisola.
In principio la morsa della crisi “Contro crisi e austerità, riprendiamoci scuole e città” è lo slogan principale della giornata, comparso a fianco di quelli ormai vecchi e famosi. E tutt’intorno tanti fumogeni, sassi, grida, bandiere, striscioni. E scontri. Una costante delle manifestazioni di ottobre è la violenza: come se la rabbia accumulata nei periodi tranquilli dell’anno trovasse improvvisamente sfogo. L’autunno è diventato un periodo pericolosamente caldo: esasperazione, crisi, futuro negato. I giovani ormai sanno che le cose non sono facili, non basta più studiare ed impegnarsi per avere la certezza di un futuro. Non c’è lavoro, non c’è più libertà di scelta e di studio, non ci sono quasi più sogni. E’ difficile essere ottimisti in questa situazione, quando si ha la percezione di un Paese stagnante, dove i soldi non ci sono e la stretta fiscale aumenta. E così i giovani ci provano a gridare quella rabbia, si organizzano, e scendono in piazza.
Le manifestazioni di oggi tra slogan e manganelli A Roma sono circa 5 mila gli studenti in protesta, hanno sfilato in corteo da Piramide al Miur, dopodiché si sono lanciati contro le forze dell’ordine. Scontri anche a Torino, e non solo. A macchia d’olio le manganellate partono ovunque. Le forze dell’ordine sono quella barriera che rappresenta la forza dello Stato e, nella mente del manifestante, sono il nemico da abbattere. Manganellate, studenti feriti,studenti fermati, qualcuno finito in ambulanza. Questo è il bilancio parziale di una mattinata di scontri e di scorribande portata avanti con lo spirito di chi, ormai, nella civile convivenza non crede più. Nonostante il divieto da parte degli organizzatori finisce sempre così: palazzi imbrattati, strade vandalizzate, spray e violenza ovunque. Ma le parole costruttive sono poche, segno che in strada la gente scende anche senza saperne il motivo. Abbiamo provato a fare domande sul perché di una manifestazione, sul perché di un assalto frontale al Miur che, nel possibile, ce la sta’ mettendo tutta per risollevare la credibilità della scuola italiana. Le risposte che abbiamo ottenuto? Nessuna. Se non vecchi slogan e luoghi comuni.
La rabbia è costruttiva La situazione nel nostro Paese di sicuro non è delle migliori, il clima di tensione e di disperazione è sempre più elevato e rischia di raggiungere presto un livello di allarme. “Lottare e scendere in piazza significa quindi lottare non soltanto per noi stessi ma anche per il futuro del nostro paese e per quei lavoratori che, sotto ricatto, non possono manifestare la propria rabbia” fa sapere uno degli organizzatori della manifestazione. Gli studenti scendono oggi in piazza, rifiutano di entrare in quella scuola per la quale dicono di lottare. Le città sono sotto assedio: studenti, operai e trasporti, che ormai sono fuori uso quasi ogni settimana. E’ veramente questo un modo concreto e costruttivo di risolvere i problemi della nostra Penisola? Azzannandoci tra di noi, studenti contro poliziotti, autisti contro pendolari e così via, si riesce veramente a creare una alternativa? Nel frattempo gli studenti tuonano: “Questa è solo la prima di una serie di mobilitazioni”.