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Cuore in salute? A dirlo sono una stretta di mano e la pressione di braccio e caviglia

Una presa debole è associata a un maggiore rischio di eventi cardiovascolari, mentre i pazienti con una media pressoria hanno un maggior grado di aterosclerosi

stretta di mano
getty

Basta misurare la forza della stretta di mano e fare una "media" fra la pressione alla caviglia e al braccio per valutare lo stato di salute del nostro cuore e dei reni.

E' quanto emerge da due studi distinti condotti dalla McMaster University, in Canada, e dagli esperti della Società Italiana di Medicina Interna (Simi). Una presa debole è stata associata a una maggiore probabilità di eventi fatali, mentre i pazienti con un indice pressorio caviglia/braccio inferiore a 0,9 hanno un maggior grado di aterosclerosi e soprattutto una riduzione consistente della funzionalità dei reni.

Cuore in salute? A dirlo sono una stretta di mano e la pressione di braccio e caviglia

Stretta debole o stretta forte?

- Lo studio degli scienziati canadesi, pubblicato sulla rivista Lancet, ha preso in esame i dati relativi a quasi 140mila persone provenienti da 17 Paesi di età compresa fra i 35 e i 70 anni di età, seguiti per quattro anni. Dai risultati è emerso che per ogni 5 chili in meno di forza, il rischio di morte prematura sale del 16%, quello di mortalità causata da ictus del 9% e da altri eventi cardiovascolari fatali del 17%. In genere una donna giovane, tra 20 e 30 anni, può esercitare una forza di 34 chili, che scende a 24 intorno ai 70 anni. Negli uomini la presa è più vigorosa: alla stessa età è pari a 54 chili, destinata a calare a 38.

Facile come misurare la pressione

- Il rapporto tra pressione del braccio e della caviglia serve soprattutto per individuare i pazienti con fibrillazione atriale su cui intensificare i controlli: un individuo su cinque ha un indice troppo basso e ciò aumenta di una volta e mezzo il pericolo di insufficienza renale. Gli esperti della Simi hanno analizzato circa 900 pazienti per valutare se vi sia un'associazione fra la pressione arteriosa registrata in diversi distretti corporei e il pericolo di danni renali e cardiovascolari. Il risultato? Solo il 23% dei pazienti con fibrillazione atriale - l'aritmia cardiaca più diffusa - ha una funzione renale normale, mentre uno su tre accusa almeno un lieve deficit.