TELEBESTIARIO

Socrates, quel colpo di tacco che la palla chiese a Dio

TELEBESTIARIO di Francesco Specchia

20 Giu 2014 - 11:34
 © ufficio-stampa

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Lo chiamavano, o calcanhar que a bola pediu a Deus, il colpo di tacco che la palla chiese a Dio. Era un calciatore e un medico, alto come un trampolo, costretto alla danza perduta del colpo di tacco per impedire che gli avversari più veloci l'anticipassero in campo. Era "uno che metteva il proprio talento in ogni gesto". C'è qualcosa di allegramente commovente nella storia di Brasileiro Sampaio Souza Vieira de Oliveira in arte Socrates, ma anche Magrão - per costituzione -, o Doutor - per gli studi intrapresi - raccontata con epica da Mimmo Calopresti e Marco Mathieu in Doc 3-Uno di noi: Socrates(mercoledì Raitre, seconda serata).

Se avesse giocato davvero più dei soliti geniali "10 minuti a partita Socrates, 60 presenze nella nazionale carioca, 22 gol, 2 mondiali, fama di medico, intellettuale e artista" sarebbe più di Pelè. Nel documentario di Calopresti non ne emergono, però, tanto i gesti atletici: la visione tattica, le micidiali punizioni, il dribbling da fermo. Ma il suo impegno civile.

Era nato nelle favelas, il dottor Socrates, tra fratelli con nomi da antica Grecia – Sostenes e Sofocles -, adorato dalla stampa, idolatrato dai brasiliani ("è come Bob Marley o Che Guevara; sta sulle magliette"). E inventò, sotto la dittatura, la "democrazia corinthiana", la prima forma di democrazia calcistica, che affrancò i paulisti dalla tirannia. Nel suo Corinthias, per cinque anni tutto veniva deciso dai giocatori ai voti: acquisti, allenamenti, trasferte. Il pugno chiuso al cielo, i discorsi rivoluzionari davanti a due milioni di tifosi, le birre ingollate nei peggiori bar di Sao Paulo: tutto, in Socrates divenne il segno di un destino. Calopresti indaga l'uomo-Socrates intervistando amici, ex compagni, pubblicitari, cronisti, perfino i fratelli. Poi sposta la narrazione a Firenze, nell'84.

Il suo arrivo alla Fiorentina. Squadra incasinatissima che non lo trattò col dovuto rispetto. Socrates in Italia soffriva di saudade; si faceva intervistare solo dall'Unità, non legava con compagni che, dice Mathieu, “non gli passavano la palla". Da tifoso viola ho rivissuto quei momenti col groppo in gola. Ho rivisto il doutour rientrare in patria anche se "gli occhi non gli brillavano più quando sorrideva” e l'ho perso nella sua condanna, l'alcolismo. Morì il 4 dicembre 2011, giorno in cui il Corinthias tornò a vincere lo scudetto; 40mila persone nello stadio si alzarono in silenzio, col pugno chiuso. La palla chiese davvero a Dio il suo ultimo colpo di tacco…

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