Telebestiario di Francesco Specchia
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Fateci capire: se Massimo D’Alema manteca il suo risottino –un proto/ Masterchef con bicamerale e cucina- a Porta a portaè uno slancio gramsciano, di cultura pop; se Matteo Renzi va dalla De Filippi diventa un venduto berlusconiano dalla temibile ambizione. C’è qualcosa di ipocritamente antico, e di spiazzante, nella bufera che ha avvolto Renzi sui social networks, alla notizia della sua ospitata nel programma di punta di Canale 5 in onda il prossimo 6 aprile (ma la puntata verrà registrata domani pomeriggio): post velenosissimi da Facebook, tweet come frecce della sinistra oscura, sdegno a rivoli dall’apparato bersaniano che tra breve potrebbe essere orfano di Bersani premier incaricato sul grembo di Giove. Renzi sarà effettivamente ad Amici., come anticipato in un tweet grondante marketing di Paolo Calvani, direttore della comunicazione del Biscione. Ok. Renzi sarà l’ospite d’onore del primo talent sopravvissuto all’eclissi dei reality, del modello invincibile dell’accademia e, al contempo, del microcosmo autoreferenziale più recintato della televisione.
Dalle prime indiscrezioni pare che lì verrà riproposto il modello che ispirò Mtv Uk con Tony Blair e i ragazzi una decina di anni fa; Renzi si concederà per una mezz’oretta al fuoco di fila dei giovani che credono ancora che il talento salverà il mondo, «non ballerà e non canterà, ci mancherebbe: fornirà volentieri un bell’esempio da seguire...», dicono. Ora, il sindaco di Firenze, sin dalle sue puberali partecipazioni alla Ruota della fortuna, non è nuovo all’entertainment specie se giovanilistico; memorabile fu, ad esempio, Non è (solo) un paese per vecchi, una puntata del Testimone su Mtv, con l’ex iena Pif che gli s’incollò alle terga nei meandri di Palazzo Vecchio. Ed è ben conscio, Renzi, che proprio in quel bacino d’utenza -i giovani, per il 70% disaffezionati alla politica e per il 37% votatori di Grillo- potrebbe pescare per riorganizzarsi un consenso che potrebbe rilanciarlo politicamente.
Svaporato il grande esperimento di democrazia della Primarie, il Pd si è dimenticato dei suoi elettori giovani. S’è scrollato di dosso il sogno dei 40enni delusi, degli under 30 con la rottamazione nel cuore e di quei 18enni al primo voto che si videro respingere al secondo turno (in Toscana finanche per una percentuale incredibile del 92%) dai pretoriani pd dell’apparato. Furono quei voti a trasmigrare verso il Movimento 5 Stelle, e il Pd finge che mai sia accaduto. Sicchè Renzi non va più alle inutili riunioni del partito, pullanti di volti arroganti e patibolari. Preferisce, invece, infilarsi nel rigore -gramsciano, quello sì- della De Filippi, tra l’italiano zoppicante di Garrison, tra i sorrisi di Platinette e di Sabrina Ferilli. Qualcuno, oggi, lo taccia di intelligenza col nemico, visti anche i precedenti filoberlusconiani dell’uomo, dalla mitica visita ad Arcore alla forte collaborazione con lo spin doctor Giorgio Gori oggi lasciato al suo destino. Vero, ma solo in parte. In realtà, anche se Giorgio Napolitano non s’abbandonasse all’ipotesi fantascientifica -fallito il tentativo Bersani- di un nuovo incarico proprio a lui, all’homo novus d’una nuova generazione di politici, be’, Renzi sta progettando le larghe intese, la grosse koalition tra centrodestra e centrosinistra in un modo tutto suo. «La prima puntata del talent targato Mediaset raccoglierà verosimilmente svariati milioni di telespettatori. Il triplo di Vespa, il quintuplo della Gruber, il doppio di Santoro, più di Floris. Non sono elettori anche loro? La smettano, le anime candide e purissime del Pd, di sentirsi superiori rispetto al paese reale....», commenta giustamente Il Fatto Quotidiano che proprio filoberlusconiano non è.
Il problema delle menti alate di una sinistra dalla solita superiorità morale è proprio questo: non concedere nulla al nazionalpopolare, specie se possiede la matrice di Cologno Monzese (salvo andare, ovviamente, dalla De Filippi per incontrare la tata, come fece Fassino che in quel caso rivelò, per i compagni una «rara umanità»). Renzi ad Amici è un’operazione d’apprezzabile strategia politica. La si potrebbe immaginare anche come la riconquista di un territorio, la mano tesa verso l’avversario nel nome (forse) della grandi riforme fatte all’unisono, pur nelle differenza ideologiche. Ed è anche un modo -se si vuole- di arginare il fenomeno Grillo. Renzi ora non è Gugliemo Giannini. É Andreotti nel ’76 che s’impone, nell’emergenza con la non-sfiducia dei comunisti. Certo, allora gli interlocutori del bene comune si chiamavano Aldo Moro e Enrico Berlinguer. Maria De Fillippi è un’altra cosa, ma è pur sempre un tentativo...