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Frutta: ananas batte pesca

01 Nov 2010 - 16:29

La frutta è buona e fa bene. Eppure, nelle preferenze degli italiani, non è tutta uguale. Ci sono frutti che negli ultimi anni hanno fatto segnare un'impennata nei consumi, mentre altri sono calati moltissimo nelle preferenze dei commensali. Ad esempio l'ananas nel nostro Paese ha visto raddoppiare il gradimento, mentre negli ultimi dieci anni si è quasi dimezzato quello delle pesche. Vanno forte anche le banane, diventate il terzo frutto più presente sulle tavole dello Stivale, dopo mele e arance.

Sono i risultati di un'analisi della Coldiretti sugli effetti della globalizzazione a tavola, dalla quale si evidenzia che la frutta straniera rappresenta oggi ben il 15% di quella consumata in totale, anche se l'Italia è il primo produttore di frutta e verdura in Europa. Negli ultimi dieci anni i nostri connazionali hanno scoperto la frutta esotica, ma accanto a questi sapori comprensibilmente "diversi", sono arrivati tanti prodotti semplicemente "stranieri" e fuori stagione, come i mirtilli dall'Argentina (+560 per cento), le ciliegie dal Cile (+122 per cento) o l'uva dal Sudafrica (+50 per cento), tutti prodotti che crescono con abbondanza anche da noi. Una tendenza che, denuncia l'organizzazione agricola, "comporta spreco di denaro, energia e inquinamento ambientale per i trasporti, spesso dovuta alla perdita di conoscenza dei cicli stagionali ed amplificata dalla mancanza di trasparenza sull'origine dei prodotti in etichetta".

Sono in aumento, secondo l'analisi della Coldiretti, anche i consumi di cibi etnici, ma, nonostante la rapida diffusione degli esercizi commerciali che li offrono, solo il 7 per cento degli italiani frequenta molto spesso un take away straniero e il 5 per cento un ristorante straniero. Addirittura nel 2010 ben quattro italiani su dieci non hanno mai messo piede in un ristorante straniero (41 per cento) o acquistato per strada kebab, tacos, involtini primavera o sushi da portare via (38 per cento).
Gli effetti della globalizzazione si sono fatti sentire però anche nei piatti tradizionali della nostra cultura alimentare, spesso all'insaputa degli stessi italiani. Molto colpita, evidenzia ancora la Coldiretti, è ad esempio la pizza: nella metà dei casi è preparata nelle 25mila pizzerie nazionali con ingredienti importati dall'estero, tra cui cagliate provenienti dall'Europa dell'Est che sostituiscono la tradizionale mozzarella, pomodoro cinese al posto di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo e farina canadese o ucraina invece di quella ottenuta dal grano nazionale. E di tutto questo, ovviamente, il consumatore non sa assolutamente nulla. Qualcosa di molto simile accade con un altro piatto tipico della dieta nazionale, ossia per gli spaghetti al pomodoro: il 60 per cento del grano duro utilizzato per la pasta arriva dall'estero mentre negli ultimi dieci anni sono quadruplicate le importazioni di concentrato di pomodoro importato dalla Cina (+272 %), diventato in questo modo la prima voce delle importazioni agroalimentari dal colosso orientale con un quantitativo stimato per il 2010 di 100 milioni di chili.

Ma non finisce qui. La Coldiretti stima che "due fette di prosciutto su tre vendute come italiane sono provenienti da maiali allevati all'estero, tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri senza indicazione in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all'insaputa dei consumatori, e la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere. Rendersene conto è particolarmente difficile perché non è sempre obbligatorio indicare la provenienza degli alimenti nelle etichette.

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