ARMUNDIA TALKINN 2025

Il potere degli algoritmi e l'autonomia dell'uomo: il futuro tra geopolitica ed etica

All’Armundia TalkInn 2025 il panel sulla geopolitica della tecnologia: dallo scontro tra Usa e Cina al ruolo della responsabilità nello sviluppo dei modelli

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L'intelligenza artificiale è il nuovo campo di battaglia geopolitico. Mentre USA e Cina si sfidano per il controllo delle tecnologie più avanzate, l'Europa resta indietro. Ma in un mondo governato da intelligenze artificiali, automazione e sistemi predittivi, che ruolo può ancora giocare l’essere umano? La domanda è al centro del panel “Geopolitica della tecnologia: Back to Humans”, uno dei momenti chiave dell’Armundia TalkInn 2025.

L’intelligenza artificiale è già una leva di potere geopolitico”, afferma Fabrizio Pagani, partner di Vitale & Co, con un passato da economista al MEF e all’OCSE. “Negli ultimi anni sono stati sviluppati circa 40 modelli di AI negli Stati Uniti, 15 in Cina e solo 3 in Europa, in gran parte francesi. Questo ci dice che l’Europa è in forte ritardo e questo ritardo pesa”. Secondo Pagani, l’Unione ha fatto un passo importante con l’AI Act, “ma regolamentare non basta. Serve una strategia industriale: capitali, infrastrutture, venture capital, un vero mercato finanziario europeo. Altrimenti restiamo spettatori”.

La sfida però non è solo economica. È anche culturale. “L’AI costruisce sistemi sempre più autonomi. E l’autonomia ci interessa perché questi sistemi compiono azioni che altrimenti dovremmo fare noi - sottolinea Paola Inverardi, rettrice del Gran Sasso Science Institute -. Siamo felici di non dover più mandare esseri umani nelle miniere o in immersioni a profondità estreme. Ma quando queste tecnologie iniziano a mediare le relazioni tra persone, allora forse non vogliamo più perdere quel margine di libertà e di scelta che ci riguarda direttamente”.

Serve, dunque, un cambio di paradigma. “La nostra vita quotidiana è ormai profondamente intrecciata con la tecnologia. È evidente che le tecnologie non sono più strumenti nelle nostre mani: stanno accanto a noi. Non ne siamo i padroni”. La chiave è nell’educare la tecnologia a convivere con l’umano. “Dobbiamo progettare questi sistemi pensando all’impatto che avranno sulla società e sulle persone - conclude Inverardi -. E questo significa formare chi li sviluppa. I sistemi, in un certo senso, vanno educati a vivere insieme a noi, a coesistere. È una questione di educazione”.

I contenuti di questa pagina sono stati prodotti integralmente da Armundia Group

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