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Vaiolo delle scimmie, Oms: "80 casi confermati nel mondo"

Si indaga su una cinquantina di altri casi in 12 Paesi. A maggior rischio d'infezione membri della famiglia, partner sessuali e operatori sanitari entrati a contatto con le persone contagiate

Sono circa 80 i casi accertati di Monkeypox, il vaiolo delle scimmie, negli ultimi mesi e su altri 50 sono in corso investigazioni.

Lo segnala l'Oms sottolineando di essere al lavoro con i suoi partner per comprendere meglio l'entità e la causa dei contagi segnalati finora in 12 Paesi. Il virus è endemico in alcune popolazioni animali in diversi Paesi, portando a focolai occasionali tra la popolazione locale e i viaggiatori. Confermato il primo caso in Svizzera.

Focolai anche in Paesi non endemici - I casi di vaiolo delle scimmie segnalati in questi ultimi mesi sono ritenuti atipici, perché scoperti in Paesi non endemici. E le segnalazioni potrebbero aumentare adesso che la sorveglianza è maggiore, avverte l'Organizzazione. In Svizzera stando a quanto reso noto dall'Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp), è stato confermato il primo caso del Paese. Si tratta di una persona che risiede nel Cantone di Berna che avrebbe contratto il virus all'estero, in corso il tracciamento dei suoi contatti.

 

 

 

 

Modalità di trasmissione - "La malattia si diffonde in modo diverso da COVID-19" chiarisce l'Oms che "incoraggia le persone a rimanere informate da fonti affidabili, come le autorità sanitarie nazionali, sull'estensione dell'epidemia nella loro comunità, sui sintomi e sulla prevenzione". E spiega: "Poiché il vaiolo delle scimmie si diffonde attraverso il contatto ravvicinato, la risposta dovrebbe concentrarsi sulle persone colpite e sui loro contatti stretti. Le persone che interagiscono da vicino con qualcuno che è infetto sono a maggior rischio d'infezione: questo include operatori sanitari, membri della famiglia e partner sessuali".

 

 

La raccomandazione - Sarebbe sbagliato e porterebbe a un quadro non chiaro sul propagarsi della malattia "stigmatizzare gruppi di persone", avvertono gli esperti dell'Oms.  Tale atteggiamento "inaccettabile" potrebbe essere "un ostacolo alla fine di un focolaio in quanto potrebbe impedire alle persone di cercare assistenza e portare a una diffusione non rilevata".

 

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