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Strage del bus Erasmus in Spagna, le famiglie delle 7 studentesse italiane ottengono il processo

A tre anni dallʼincidente e dopo tre archiviazioni, la Corte d'Appello di Tarragona ha accolto l'ultimo ricorso: alla sbarra l'autista, accusato di omicidio colposo

Strage del bus Erasmus in Spagna, le famiglie delle 7 studentesse italiane ottengono il processo - foto 1

Hanno dovuto attendere più di tre anni e opporsi con tenacia a tre archiviazioni, per ottenere il processo che vede imputato per omicidio colposo l'autista del bus della strage degli studenti, in Catalogna.

Le famiglie delle 7 vittime italiane si preparano a una nuova battaglia, dopo l'annuncio della Corte d’Appello di Tarragona che ha accolto il loro ultimo ricorso. "Potremo chiedere giustizia", commentano i genitori di una delle vittime.

Per i giudici di Tarragona sarà un processo a stabilire cosa è accaduto quella notte del 20 marzo 2016. Accusato di omicidio colposo l’autista del bus, Santiago Rodriguez Jimenez, 62 anni. L'uomo prima ammise il colpo di sonno, poi ritrattò.

 

Nello schianto morirono 13 studentesse Erasmus, sette di loro erano italiane: Elisa Valent, Valentina Gallo, Elena Maestrini, Lucrezia Borghi, Elisa Scarascia Mugnozza, Serena Saracino e Francesca Bonello.

 

Proprio i genitori di Francesca Bonello, attraverso il loro legale, hanno commentato da Genova a lI Secolo XIX la svolta nella vicenda. "E' una decisione che accogliamo con soddisfazione - hanno affermato. - Finalmente potremo avere un processo e chiedere giustizia".

 

Le tappe della vincenda - In un primo momento l'autista aveva ammesso di essersi addormentato. Una circostanza confermata, in un secondo tempo, anche dalle consulenze di parte sulla scatola nera, che mostravano vistosi cambi di velocità, come se il guidatore avesse avuto vari colpi di sonno prima dello schianto. Non solo. Gli investigatori catalani, avevano escluso che il pullman avesse guasti strutturali. Il conducente, tuttavia, aveva ritrattato quella prima versione, durante un interrogatorio. E a complicare ulteriormente il quadro si era aggiunta una perizia, che le famiglie hanno atteso per sette mesi, sul sistema frenante del mezzo. Solo allora il perito della procura di Amposta aveva concluso che era impossibile stabilire se i freni funzionavano o no. E il pm aveva chiesto una nuova archiviazione.

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