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Parigi val bene una (scom)messa

Parigi val bene una (scom)messa - foto 1
ansa

Il vento impetuoso che scuote l'Europa, dai sovranismi intransigenti dell'est, che passano dalla cortina di ferro a quella del filo spinato, alla tormentata e rallentata Brexit della Gran Bretagna, al passaggio di mano della Merkel alla guida della CDU per rilanciare il centro, all'Italia del governo giallo-verde che si ribella ai veti della Commissione europea, sembra essersi concentrato sulla Francia, con la rivolta dei gilet jaunes che, giungendo da ogni parte del Paese, stanno mettendo a ferro e fuoco Parigi tanto che dall'Eliseo qualcuno teme addirittura un colpo di Stato.

Eppure fino a poco tempo fa Macron rappresentava il modello esportabile per definizione di uomo solo al comando a cui lo stesso Renzi non ha nascosto di ispirarsi: asceso al potere con il 24 % dei consensi al primo turno dispone ora dell'80% dei parlamentari dell'Assemblea Nazionale.

Tuttavia questo non lo ha messo al riparo dall'esplosione della protesta e della ribellione popolare: un mix di scontenti che attraversa diversi target sociali, dalla borghesia soccombente ai nuovi poveri, partendo da temi economici, la miccia è stata accesa dal prezzo del carburante e relative accise, alla conseguente lievitazione del costo dei trasporti che ha messo in difficoltà diverse aree del sistema produttivo, soprattutto le medie e piccole imprese. Sembra dunque che sia di natura economica l'incipit della rivolta sociale, manifestatasi in forma sorprendentemente dura nei confronti del potere centrale cui viene rimproverato di non aver mantenuto le promesse elettorali e di aver sottoposto il Paese ad una serie di duri sacrifici.

Ma in un Paese come la Francia che ha vissuto in passato l'esperienza sanguinaria della Rivoluzione del 1789 e, due secoli dopo, la contestazione del 1968, c'è chi pensa che questa rivolta in atto, nella sua virulenza che assomma la scontentezza profonda per la politica del “au meme temps”, come la definisce lo scrittore Raphael Glucksmann in un'intervista al Corriere della Sera (che potremmo tradurre nell'italico “un colpo alla botte ed uno al cerchio” ), cioè nello scontentare tutti senza accontentare nessuno, e il rapido declino della fiducia nella massima istituzione rappresentativa della nazione, ci sono impliciti culturali e sociali che vanno oltre il mero dato economico, l'erosione dei salari o l'implosione delle banlieue, così come nel popolo della rivolta si assommano e si mescolano istanze di destra e di sinistra, in una sorta di mix esplosivo che preoccupa la stessa Europa che vedeva nell'astro nascente “politicamente corretto”, antipopulista, costituzionalista, il capofila di un nuovo modello di “centro democratico” che avrebbe potuto costituire la diga frangiflutto da adottare in vista delle elezioni europee del 2019, contro i populismi montanti, i sovranismi, i nazionalismi autarchici, per rilanciare un'idea condivisa di Europa.

Macron non è certo De Gaulle, mutatis mutandis , e la Francia del terzo millennio è il Paese più esposto alla radicalizzazione islamica e quindi all'insicurezza sociale, anche se ciò può sembrare un paradosso visto che tutti in Europa guardano a Macron come all'uomo nuovo, colui che ha saputo sconfiggere la Le Pen e, contemporaneamente, tenere a bada e ridimensionare destra e sinistra. Hanno fatto il giro del mondo le immagini di quegli oltre cento studenti inginocchiati con le mani sulla testa sotto il controllo delle forze dell'ordine armate e minacciose. Carisma, lungimiranza, capacità di mediazione, preveggenza non sono qualità che si affinano con l'apparente ostentazione di autorevolezza e pugno di ferro. Parigi in questo momento è al centro dell' attenzione dei governi europei: c'è chi scommette che sappia domare la ribellione e riprendere il bandolo della matassa del rilancio dell'Ue. ma c'è anche chi soffia sul fuoco affinchè proprio dalla Francia nasca il ribaltone che consegni il Paese e poi forse il vecchio continente ai populismi emergenti.

di Francesco Provinciali