A 19 anni il giovane centrocampista era ben lontano dal poter realizzare il suo sogno nel mondo del pallone e passava le sue giornate cercando oro sottoterra con suo padre. Poi, piano piano, è iniziata la scalata fino al Betis Siviglia, che lo ha pagato ben 14 milioni
di Manuel SantangeloMarmato è una piccola cittadina di meno di 10mila abitanti nel nord della Colombia (precisamente nel dipartimento di Caldas), la cui storia è legata a doppio filo con quella delle miniere. Un posto particolare, dove andare a scavare sottoterra con l'obiettivo di riemergere con un po' d'oro è il destino più comune. Non è un caso che qui emigrarono, proprio con l'intenzione di lavorare nelle miniere, anche tanti professionisti arrivati dalla Cornovaglia, che speravano di fare fortuna in Sud America. Ora a Marmato sono rimasti ormai solo i loro discendenti, poco convinti di trovare la svolta della loro vita sottoterra. D'altra parte da quelle parti si lavora in miniera quasi più per inerzia, non vedendo davanti a sé molte altre strade.
Anche Nelson Deossa era finito in quella spirale, ormai quasi convinto che non potesse fare niente di diverso da ciò che suo padre aveva fatto prima di lui. Poi però il destino ha iniziato a girare e oggi, quel diciannovenne minatore, è diventato un moderno centrocampista box to box. Uno per cui una società gloriosa come il Betis Siviglia è arrivato a pagare quattordici milioni, pur di portarlo in Spagna. Nelle immagini della presentazione in biancoverde Nelson ha la faccia confusa e sorpresa di chi non si aspettava di trovarsi lì e, vedendo il suo percorso, non c'è troppo da stupirsi.
Ci sono calciatori che a diciannove anni già hanno addosso l'aura dei predestinati. Deossa non vede l'ora di giocare contro Lamine Yamal, uno che prima ancora di raggiungere la maggiore età già aveva addosso le stimmate del nuovo Messi. Prima di affrontarlo in campo Nelson lo osserverà probabilmente come un alieno, ripensando a quello che era lui alla sua età: un ragazzo frustrato, scontroso, che sentiva di sotterrare ogni giorno di più il suo sogno di diventare un campione in quella miniera. Allora sapeva quanto fosse concreto il rischio che il suo talento sarebbe potuto finire nascosto e seppellito, come i filoni d'oro che suo padre era costretto a cercare da sempre.
Qualche occasione Nelson Deossa l'aveva invero buttata via e forse si vedeva già in uno dei bar vicino la miniera, mentre giurava ai suoi colleghi che da giovane "sarebbe potuto diventare un giocatore professionista". Prima della maggiore età aveva fatto d'altra parte diversi provini con tutte le migliori squadre della Colombia, venendo rispedito però sempre al mittente. A volte a non convincere erano le sue qualità calcistiche, giudicate insufficienti, ma molto spesso a bloccare tutto era soprattutto un carattere fumantino. Aveva fatto il giro del Paese Nelson ma nessuno tra Cali, Envigado e Antioquia se l'era davvero sentita di scommettere su quella forza della natura così anarchica in camp e fuori. Tutto stava andando a sud, almeno finché nella sua vita non è entrata una figura fondamentale: Dayron Pérez.
Pérez aveva incontrato Deossa per la prima volta quando era ancora uno dei tanti bambini delle giovanili dell'Once Caldas. Poi lo aveva perso di vista e lo aveva dimenticato, almeno fino a quando la zia del ragazzo non riemerse, mettendosi in contatto con sua moglie. La richiesta della zia alla signora Pérez era semplice: cercare di intercedere per il nipote con suo marito. Pérez in quel momento è infatti l'allenatore dell'Atlético Huila, una squadra della Serie A colombiana in cui ha giocato anche l'ex Genoa Agudelo, e magari può venire a Marmato per dare un occhio allo sviluppo di quel bimbo ormai arrivato alla soglia dei vent'anni.
Più per far contenta sua moglie, Dayron Pérez decide quindi di andare a vedere una partita del ragazzo, nei polverosi campetti su cui gioca dopo il lavoro: finora ha giocato solo con piccole squadre del "barrio" come il Casitas, l’Once Deportivo e il Fénix de Salamina. Nulla di professionistico. Pérez tuttavia rimane colpito dal suo talento naturale. Deossa va scolarizzato ma c'è del buono in lui. La scommessa è talmente a basso costo che vale la pena provarci.
Le cose però non vanno subito nel modo giusto e la favola sembra spegnersi subito, ben prima di arrivare al lieto fine. Intervistato dall'emittente colombiana Blu Radio è stato lo stesso Pérez a ricordare quell'inizio complicato del loro rapporto: "Si è allenato con me per sette mesi, giocando nell'Huila Under 20. Era un giocatore molto poco associativo, non condivideva mai la palla. Abbiamo avuto molti battibecchi. A un certo punto, se n'è persino andato. Quando mi hanno assegnato la prima squadra però lo volevo e ho dovuto convincerlo a tornare. Fortunatamente, ci sono riuscito. Da quel momento in poi ha lavorato duramente sugli aspetti tattici, tecnici e mentali".
Deossa sembra ancora in tempo per diventare un calciatore professionista. Le voci sulla sua crescita impetuosa arrivano fino in Argentina, dove lo ingaggia una squadra importante come l'Estudiantes. Non funziona tuttavia granché, troppo grande il salto per un ragazzo che ha iniziato a sentirsi giocatore vero da così poco. Viene rispedito in patria ma almeno sale uno scalino, indossando due delle maglie più prestigiose della Colombia: prima quella dell'Atletico Junior di Baranquilla e poi quella dell'Atletico Nacional. Come racconta Pérez tuttavia, il suo pupillo non è ancora pronto mentalmente per giocare al top. Allo Junior palesa problemi di disciplina e non va meglio con i verdi della capitale. Al Nacional Deossa entra infatti in fretta in rotta con l'allenatore Jhon Bodmer, che dà mandato alla società di non esercitare il diritto di riscatto per il cartellino del ragazzo, nonostante quest'ultimo abbia contribuito alla vittoria di Copa e Supercopa di Colombia. El mago, come ha iniziato a essere chiamato, a quel punto può solo espatriare per trovare la sua strada.
Al Pachuca, in Messico, l'interruttore si accende e Deossa diventa definitivamente un giocatore vero. Forse ha capito che è il suo ultimo treno importante, sta di fatto che non è più il talento anarchico e inaffidabile visto fino a quel momento. Perez lo osserva sempre da lontano e ne ammira la crescita. Anche secondo lui la tappa al Pachuca è stata fondamentale: "Lì ha capito che doveva giocare di squadra. Oggi è più serio, più coinvolto e ha una migliore comprensione del gioco ". Con il Pachuca, che lo ha pagato 1,5 milioni di dollari, aumenta presto il suo valore vincendo la Concacaf Champions League e giocando il Mondiale per Club in Qatar nel 2024.
Deossa a quel punto non può più essere ignorato nemmeno dal ct della Nazionale. A ottobre 2024 il selezionatore Nestor Lorenzo lo convoca per la prima volta con i Cafeteros per le sfide contro Cile e Bolivia. Non esordisce ma sa che ormai è questione di tempo. È riconosciuto come uno dei giocatori migliori di un movimento in crescita come quello messicano e uno dei club leader del campionato, il Monterrey, riesce a portarselo a casa. L'ex minatore che appena quattro anni prima stava per mollare tutto ora viene valutato ben sette milioni di dollari. Verticale, atleticamente instancabile e con un tiro potente. Deossa è il segreto meglio custodito del calcio dell'America Latina almeno fino alla sua partecipazione nel nuovo Mondiale per Club negli Stati Uniti.
Il Monterrey di Nelson Deossa viene inserito in un girone duro con Inter, River Plate e Urawa Reds ma non sfigura. Strappa addirittura un pareggio con i nerazzurri, anche se la gara in cui Nelson e il resto de Los Rayados possono mettersi in mostra è quella contro i giapponesi dell'Urawa. Il colombiano coglie al volo l'opportunità, condendo la sua grande prestazione con un grande gol. Deossa vede il portiere asiatico leggermente spostato e allora, appena superato il centrocampo, decide di provare a pescare il jolly. Fa partire un tiro potentissimo e imparabile che va a spegnersi sotto al sette. È il sigillo su un torneo ottimo che lo porterà a essere inserito nella top 11 della competizione secondo il sito WhoScored. Perez non si dirà sorpreso di quella magia: "Quando si rende conto che l'avversario non sta saltando per evitare il suo dribbling, visualizza già il gol. Si posiziona e tira bene".
Tutti vogliono il ragazzo del 2000 che, alla soglia dei 25 anni, finalmente è diventato quello che sognava. Undici milioni e mezzo sono necessari al Betis Siviglia per battere la concorrenza di club tedeschi e italiani. Anche la Fiorentina deve guardare da un'altra parte. I betici sfruttano tutte le loro armi per convincere Deossa che alla fine, dopo aver parlato con l'ex Canales (pure lui passato per il Messico) e col connazionale Chucho Hernandez, accetta l'offerta spagnola. "El ingeniero" Manuel Pellegrini, l'allenatore della squadra, si spende in prima persona per assicurargli che avrà un ruolo importante nella stagione e alla fine il minatore approda davvero sulle rive del Guadalquivir.
Deossa diventa così il quarto colombiano a indossare la maglia del Betis dopo Juanjo Narváez, l'ex meteora del Parma Dorlan Pabón e il suo nuovo compagno di squadra e amico Cucho Hernández. Il Monterrey gongola, Fino a oggi le cessioni più remunerative erano state quelle di César Montes al Espanyol e di Jesús “Tecatito” Corona al Porto, ma mai si era incassato tanto con un singolo giocatore. Deossa approda a Siviglia, racconta ai cronisti che è un giocatore offensivo e soprattutto che ha fatto una strada piuttosto lunga per arrivare a giocare sul prato del Benito Villamarin: "Ho studiato e lavorato. Ho visto il mio sogno infrangersi perché a 19 anni lavoravo; non stavo seguendo la strada che si dovrebbe seguire come calciatore. Mi sono sentito frustrato per molto tempo, ma non ho mai rinunciato a quel sogno e ho sfruttato le opportunità che mi si sono presentate", ripete a tutti. Ora che la miniera è lontana tutto sembra superabile e pazienza se non potrà esordire già in settimana contro l'Elche nella prima di campionato. Deossa, l'uomo che è riemerso dal sottosuolo, sa bene che ci sono cose peggiori nella vita.