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Libia, l'inviato Onu: "La tregua non c'è" | L'Unhcr sospende le attività al centro rifugiati di Tripoli

Ghassan Salamé denuncia le continue violazioni degli impegni assunti a Berlino. La situazione è esplosiva: "Il conflitto potrebbe coinvolgere lʼintera regione"

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-afp

"La tregua in Libia non c'è, regge solo di nome". E' quanto afferma l'inviato speciale dell'Onu Ghassan Salamé, denunciando le continue violazioni degli impegni assunti a Berlino per il cessate il fuoco. Intanto l'Unhcr, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha deciso di sospendere le attività operative presso il centro per i rifugiati di Tripoli, "temendo per la sicurezza e la protezione delle persone presso la struttura".

La tregua in Libia ormai esiste insomma solo sulla carta e gli attori stranieri continuano a rifornire di armi i contendenti rischiando di provocare un conflitto capace di coinvolgere "l'intera regione". Undici giorni dopo la conferenza di Berlino, che aveva riunito al capezzale della Libia i rappresentanti delle potenze regionali e globali, il bilancio di Salamé sembra un bollettino della disfatta.

 

Una tregua fragile Sulla tenuta del cessate il fuoco, in realtà, fin dal principio nessuno si era fatto eccessive illusioni, visto che i segnali arrivati dal consesso nella capitale tedesca non erano stati dei migliori. Primo fra tutti il fatto che i leader dei due schieramenti nemici, il capo del governo di accordo nazionale di Tripoli, Fayez Al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar non si erano nemmeno incontrati, né avevano firmato alcuna intesa personalmente.

 

Le violazioni del cessate il fuocoLe parole del mediatore delle Nazioni Unite, pronunciate al Consiglio di sicurezza, sanciscono una situazione drammatica, se possibile ancor più delle 110 violazioni della tregua ufficialmente registrate dall'Unsmil, la missione dell'Onu per la Libia.

 

Il danno economico A tutto questo si aggiungono le ripercussioni economiche su un Paese già disastrato, con una perdita stimata a 562 milioni di dollari per il blocco delle esportazioni petrolifere imposto dalle forze di Haftar. "Ho chiesto di riattivare subito i terminal per l'esportazione", ha affermato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, sottolineando che il blocco produce "un danno economico da 89 milioni di dollari al giorno".

 

Il dramma dell'Unhcr Diventa più drammatica anche la situazione dei profughi, con l'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) che ha deciso di sospendere le sue operazioni presso il centro per la raccolta e le partenze di Tripoli. Di Maio ha detto che il suo dicastero si attiverà con quello dell'Interno per proseguire il dialogo con il governo di Al Sarraj a proposito dei centri di detenzione per migranti nel Paese africano.

 

700mila migranti in Libia Attualmente in Libia ci sono "700mila migranti, di cui circa tremila nei centri di detenzione". Una situazione che rappresenta anche "un rischio terrorismo a pochi chilometri dalle nostre coste", ha sottolineato il ministro degli Esteri.

 

Turchia sul banco degli imputati Esprimendo "rabbia e disappunto" per la situazione in Libia, Salamé ha accusato i Paesi stranieri coinvolti nel conflitto di avere violato gli impegni presi a Berlino, inviando nel Paese "armi, equipaggiamenti, fanteria". Sul banco degli imputati, più che la Russia e gli Emirati Arabi Uniti schierati con Haftar, sembra essere la Turchia, sostenitrice di Al Sarraj. "I combattenti stranieri arrivano a migliaia a Tripoli", ha affermato l'inviato dell'Onu. Anche la Marina francese ha confermato che una fregata turca ha scortato mercoledì una nave libanese che trasportava mezzi blindati a Tripoli. Ma il ministero degli Esteri di Ankara ha reagito tornando ad accusare la stessa Francia di sostenere a sua volta Haftar.

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