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Libia, il comandante dell'Aliseo: "Ci hanno sparato più di cento colpi"

Giuseppe Giacalone racconta l'abbordaggio al suo peschereccio: "Un proiettile mi ha sfiorato la testa e ho visto che perdevo sangue"

"I libici si sono avvicinati all'imbarcazione e hanno sparato ad altezza d'uomo, ho contato più di cento colpi". Il comandante dell'Aliseo Giuseppe Giacalone racconta così l'abbordaggio al suo peschereccio davanti alle coste libiche, dopo l'interrogatorio alla Capitaneria di porto di Mazara del Vallo. "I vetri in frantumi del finestrino mi hanno investito in pieno - continua -, un proiettile mi ha sfiorato la testa e ho visto che perdevo sangue". 

Giovedì pomeriggio "stavamo recuperando le reti e via radio la nave della Marina militare italiana ci ha avvisato di puntare la prua verso Nord e navigare a massima velocità", afferma Giacalone agli inquirenti durante l'interrogatorio durato due ore. "Abbiamo chiesto il perché, ma non ci è stato riferito. Dopo un'ora abbiamo deciso di andare verso la Grecia. Così ho chiesto al cuoco di preparare il pranzo e poi via verso Nord-est".

 

 

La dinamica - Il comandante, con una benda sul capo per la ferita alla testa e la maglietta ancora sporca di sangue, prosegue il suo racconto: "Dopo due ore di navigazione mi sono accorto che sulla nostra testa sorvolava un elicottero della Marina militare. Mi sono affacciato dalla porta sinistra della cabina di comando e mi sono accorto che c'era una motovedetta libica che veniva verso di noi". Si tratta di un ex mezzo della Guardia di finanza che l'Italia ha donato nel 2018 alla Libia per il controllo anti-immigrazione. "Viaggiavano a una velocità di 35-40 nodi, ho chiamato via radio la Marina Militare comunicando cosa stava succedendo. I libici si sono avvicinati e hanno iniziato a sparare ad altezza d'uomo. Ho richiamato la Marina e, a quel punto, mi è stato riferito di fermare i motori".

 

I militari libici sono saliti a bordo, "erano tre e armati", dice il comandante. Ore difficili vissute con la paura di finire sequestrati. "In quel momento avevo vivo il ricordo di cosa ha vissuto mio figlio Giacomo rimasto sequestrato 108 giorni a Bengasi, mi è crollato il mondo addosso", dice Giacalone. Poi la decisione della Guardia Costiera libica di liberare l'Aliseo: "il comandante mi diceva 'sorry, sorry', quasi a scusarsi di quello che avevano fatto".

 

"Non tornerò più in mare" - Il comandante dell'Aliseo fuma l'ennesima sigaretta per stemperare la tensione. "Ormai non le conto più", dice. Per lui la sparatoria e la paura del sequestro rappresentano la fine della sua carriera di pescatore: "Non tornerò più in mare, a costo di bruciare il libretto di lavoro, la mia famiglia è distrutta. Oramai sono stanco, Giuseppe Giacalone pescatore è morto".

 

L'appello al governo - Il mare, il lavoro duro della marineria mazarese e la mancata sicurezza in quelle acque. Su questo si discuterà a lungo nei prossimi giorni a Mazara del Vallo. "Il nostro appello è al governo: nelle missioni in Libia parli anche della pesca. Anche noi siamo cittadini italiani che, con fatica, cerchiamo di guadagnarci da vivere. Ma rischiare la vita è troppo, ormai ho deciso di smettere".

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