La Camera Usa riconosce il genocidio armeno, ira di Ankara
La Turchia bolla lʼiniziativa come una decisione "ad uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica" e convoca lʼambasciatore statunitense
La Camera Usa ha riconosciuto formalmente il "genocidio armeno" con un voto bipartisan schiacciante (405 sì su 435 voti).
Il testo, non vincolante, invita a "rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione". Non si è fatta attendere la risposta della Turchia. Ankara infatti ha bollato l'iniziativa come una decisione "ad uso interno, priva di qualunque base storica e giuridica".
La mossa rischia di rendere imbarazzante la visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan alla Casa Bianca, prevista per il 13 novembre.
Il genocidio armeno è stato riconosciuto da una trentina di Paesi, tra cui l'Italia. Secondo le stime tra 1,2 e 1,5 milioni di armeni sono stati uccisi durante la prima guerra mondiale dalle truppe dell'impero ottomano, all'epoca alleato di Germania e Regno austro-ungarico. Ma Ankara rifiuta il termine genocidio sostenendo che vi furono massacri reciproci sullo sfondo di una guerra civile e di una carestia che fecero migliaia di morti da entrambe le parti.
Nell'aprile 2017, pochi mesi dopo l'insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump aveva definito il massacro degli armeni "una delle peggiori atrocità di massa del XX secolo", senza però usare il termine "genocidio". Ma questo bastò a suscitare l'ira della Turchia. Barack Obama, prima di essere eletto nel 2008, si era impegnato a riconoscere il genocidio armeno ma non lo fece.
Intanto l'ambasciatore Usa ad Ankara, David Satterfield, è stato convocato al ministero degli Esteri turco a seguito della risoluzione approvata dalla Camera dei Rappresentanti americana Lo riferiscono fonti diplomatiche di Ankara. La convocazione è stata decisa per denunciare la "risoluzione priva di qualsiasi base storica o legale" sul "genocidio armeno" e un'altra proposta di legge che chiede al presidente Donald Trump di sanzionare la Turchia a seguito della sua offensiva militare in Siria.
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