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Gb, si dimette anche il ministro Boris Johnson: "Brexit, il sogno sta morendo"

Eʼ il secondo membro del governo, dopo David Davis, a lasciare in polemica per la svolta negoziale "soft" della premier britannica Theresa May sullʼuscita dallʼUe

Gb, si dimette anche il ministro Boris Johnson:
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Nuova tegola per il governo conservatore di Theresa May in Gran Bretagna.

Dopo il ministro per la Brexit, David Davis, ha annunciato le dimissioni anche il ministro degli Esteri, Boris Johnson, in polemica per la svolta negoziale "soft" della premier britannica sull'uscita dall'Ue. La notizia è stata confermata da Downing Street, che ha annunciato l'imminente nomina di un nuovo titolare del Foreign Office.

La "resistenza" di Theresa May - E' un terremoto politico in piena regola quello che sta affrontando May che prova ancora una volta a resistere, rattoppando la sua compagine e dichiarandosi pronta ad affrontare il voto in Parlamento su una possibile mozione di sfiducia: per chiederla servono le firme di 48 deputati del gruppo Tory, già depositate a quanto pare nero su bianco. Il governo è scosso alle fondamenta nei suoi fragili equilibri, con l'ombra incombente del naufragio e di nuove elezioni anticipate, auspicate ad alta voce dalla rinfrancata opposizione laburista di Jeremy Corbyn, che nessuno si sente di escludere.

Mentre l'Ue, per ora, fa finta di nulla: "Trattiamo con Theresa May", taglia corto un portavoce, accennando a una mezza apertura di credito cui Jean-Claude Juncker fa sponda punzecchiando Johnson.

Le dimissioni di Davis e quelle di Johnson - La giornata si consuma in un'accelerazione convulsa degli eventi. Dapprima arriva l'uscita di scena di Davis, 69 anni, il più manierato dei "brexiteer", che molla il timone del dicastero chiave per la Brexit (assieme a uno dei suoi vice, Steve Baker). Quindi ecco l'addio al Foreign Office di Johnson, indocile ed eccentrico ministro degli Esteri.

Johnson: "Il sogno della Brexit sta morendo, ridotti a status di colonia" - Nella sua lettera di dimissioni, scritta in punta di fioretto, Davis spiega di non poter sposare una linea a cui non crede più, aggiungendo di "sperare di sbagliarsi" e tuttavia rimproverando a May di aver messo sul tavolo "troppe concessioni e troppo facilmente", senza neppure la garanzia di non doverne poi fare altre. Johnson tira invece di spada. "Il sogno della Brexit sta morendo, soffocato da dubbi inutili", tuona in quella che pare una chiamata alle armi contro la premier e lo spettro di un regno ridotto "status di colonia".

La premier e la difesa della linea "Brexit soft" - Le dimissioni di Davis e Johnson sono due colpi da ko che lady Theresa prova ad assorbire senza fare un plissé. Rimpiazza Davis col "giovane leone" Dominic Raab, 44 anni ex viceministro della Giustizia e poi dell'Edilizia, anche lui "brexiteer". A seguire si dedica alla scelta del sostituto di Johnson, optando infine per Jeremy Hunt, già ministro della Salute.

La premier fa capire del resto di non esser disposta alla resa se non vi sarà costretta. Ai Comuni difende la nuova piattaforma delineata venerdì nella residenza di campagna dei Chequers in vista della ripresa delle trattative con l'Ue della settimana prossima. Nega che si tratti di un "tradimento del referendum del 2016", come mormorano i falchi del gruppo parlamentare del suo stesso partito guidati dal rampante Jacob Rees Mogg, potenziale sfidante alla leadership, e in sostanza anche Johnson o Davis. Giura che la proposta di un accordo di libero scambio con i 27 sui beni prodotti industriali e agricoli e di un regime di dogane aperte con "regole comuni", non significa la rinuncia a uscire dal mercato unico e dall'unione doganale, oltre che dall'Ue.

Insiste che la sua è l'unica "Brexit giusta", in grado di coniugare l'impegno a "recuperare il controllo" nazionale dei confini, dei soldi e delle leggi, con la fine della libertà di movimento delle persone e della giurisdizione delle Corti europee, con quello di mantenere "una partnership profonda e speciale" col resto dell'Europa sul fronte del commercio e della "sicurezza" collettiva.