sport e terza età

Non solo Boranga: dall'Egitto all'Uruguay, i calciatori che non vogliono andare in pensione

L'ex numero uno della Fiorentina alla veneranda età di 82 anni non è l'unico calciatore "agée" che non ci pensa proprio ad attaccare gli scarpini al chiodo

di Manuel Santangelo
20 Ago 2025 - 00:05
 © Da video

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Boranga di tutto il mondo unitevi. L'ex numero uno di Fiorentina e Cesena non è l'unico che ha provato a "parare" anche la vecchiaia. Il portiere, oggi ottantaduenne, è pronto a rimettersi i guantoni per difendere i pali della "sua" Trevana, in prima categoria. Lì a Trevi, nella cittadina umbra dove tutto è iniziato, è tornato per chiudere definitivamente un cerchio dall'ampio diametro. Perché certi amori fanno giri immensi ma tornano sempre, alla fine, come diceva il poeta (e un altro highlander del pallone che di nome fa Galliani Adriano). Medico, campione di atletica leggera  e calciatore. Boranga, l'uomo dalle mille vite non si ferma: "Dovrò riposare nella prossima", ha raccontato qualche giorno fa ai microfoni non sapendo forse che, ad altre latitudini, ci sono agguerriti veterani della pedata pronti a dargli battaglia fino all'ultimo, "letteralmente" sul campo. 

Bahader il nonno goleador

  Siamo a ottobre 2020. Ezzeldin Bahader tra meno di un mese compirà 75 anni ma quel giorno sta giocando quella che è solo la sua seconda partita nel calcio professionistico. Il Coronavirus ha limitato la sua esperienza come numero nove dell'6 October Club, compagine militante nella terza serie egiziana, a un paio di apparizioni. Nell'altro match giocato, contro il Genius, ha addirittura segnato con la fascia da capitano al braccio la rete decisiva per la vittoria dei suoi. Quel gol su rigore, messo a segno in una partita in cui era riuscito a rimanere in campo tutti i novanta minuti, lo ha consegnato alla storia: a 74 anni e 175 giorni Bahader può già fregiarsi del titolo di bomber più anziano della storia. Un primato che sarebbe tuttavia anche migliorabile, se solo stavolta il dischetto non gli fosse nemico. Contro l’El Ayat Sports Club SC Bahader non timbra il cartellino e alla fine i suoi devono arrendersi: il match finisce 3-2 per gli avversari ma tutti al fischio finale sono concentrati nel celebrare l'attempato attaccante,  ufficialmente certificato come il calciatore professionista più anziano del mondo dal Guinness World Record. Scendono dalle tribune anche i sei nipoti, che avevano incitato il nonno per tutto il match. Sono l'ultima generazione di Bahader, figli dei quattro eredi diretti del capostipite. Probabilmente, vedendo sgambettare quell'anziano parente, avranno pensato di avere degli ottimi geni.

Prendo quello che prendono al Cairo

  Forse c'è qualcosa di particolarmente buono nell'acqua del Nilo, visto che è egiziano anche il più celebre Essam El Hadary, il giocatore più anziano a giocare una partita ai mondiali. A ben 45 anni, 5 mesi e 10 giorni "la diga" rimette i guantoni dopo aver visto le prime due sfortunate partite dei suoi nel mondiale russo del 2018 dalla panchina. La vecchia conoscenza del nostro calcio Hector Cuper vuole salutare la competizione con un risultato onorevole e quindi decide che è il momento di panchinare il titolare designato El Shenawy per riproporre la leggenda dell'Al-Alhy tra i pali. Essam d'altra parte ha dimostrato di essere ancora un giocatore vero appena qualche mese prima quando, complici gli infortuni dei colleghi,  si è ritrovato in un batter d'occhio da terzo portiere a titolare in Coppa d'Africa. Un torneo, quest'ultimo, in cui El Hadary è stato tutt'altro che una comparsa, visto che si è ritrovato addirittura a parare due rigori decisivi nella semifinale contro il Burkina Faso.

Il cameo con l'Arabia Saudita in Coppa del Mondo sarà meno fortunato, con gli Al-Firaeina (i faraoni) che usciranno dopo un mesto 2-1 incassato dall'Arabia Saudita, ma il record di Essam El Hadary verrà comunque celebrato a dovere negli spogliatoi. Anche l'hombre vertical Cuper quel giorno sorrise. D'altra parte aveva già digerito in carriera delusioni più clamorose di quell'uscita ai Mondiali.

Isaak Hayik, scrittore, caricaturista e portiere

  Portiere come El Hadary era anche Isaak Hayik, l'uomo che si vide soffiare il record di calciatore più anziano in un campionato professionistico da Ezzeldin Bahader. Lui si era fermato nel 2019 con i novanta minuti giocati a "soli" 73 anni, un traguardo storico celebrato quel giorno anche da suo figlio allora trentaseienne, lo stesso con cui aveva anche giocato fino a qualche mese prima.

Con la maglia numero uno dello Ironi Or Yehuda, quarta serie israeliana, Hayik si dimostrò un po' arrugginito pur facendo, almeno secondo le cronache, anche qualche ottima parata nel 5-1 incassato dai suoi. Poco male, quella gara era solo la ciliegina sulla torta di una vita già di per sé decisamente piena.

Basta farsi un giro sulla sua pagina Wikipedia (dove Isaak si mostra in una foto degli anni Ottanta in cui appare già molto più vecchio) per scoprire come Hayik sia molto più che un semplice calciatore. Già da bambino la sua infanzia fu quantomeno tumultuosa: i suoi genitori erano infatti tra le decine di migliaia di ebrei iracheni fuggiti in Israele verso la metà del Ventesimo secolo, in seguito alla nascita dello Stato d’Israele (che risale al 1948, quando il nostro aveva già tre anni). Caricaturista e illustratore, Hayik lavorò da giovane con diversi giornali di lingua sia ebraica che araba. A nemmeno trent'anni era già uno scrittore di discreto successo. Il suo secondo libro, The End of the Earth (uscito nel 1969), era un'opera di fantascienza che descriveva una guerra mondiale con annesso sterminio di buona parte dell'umanità. Uno scenario non così distopico oggi, ahinoi, se non fosse per gli alieni che intervengono nel conflitto verso la fine del libro.

Lykhovydov, l'imprenditore e numero dieci eroe di Odessa

  In mezzo a un conflitto (purtroppo vero) si trova pure Mykola Lykhovydov, 59 anni a gennaio, ad oggi il giocatore più anziano in attività. Gioca nella periferia settentrionale di Odessa, quella che ha trascorso quasi tre anni e mezzo sotto costante minaccia, con la maglia del  Real Pharma. È un centrocampista offensivo con un buon tocco, che spesso cambia la partita entrando negli ultimi minuti, manco fosse un Altafini ucraino. A correre tanto ci pensano i tanti ragazzi suoi compagni, visto che l'età media del resto della squadra è piuttosto bassa. Va comunque detto che il contributo del nostro per la compagine non si limita al campo, visto che è anche presidente e primo finanziatore della formazione (che non a caso prende il nome proprio dall'omonima azienda di cui Lykhovydov è anche proprietario, un po' come il Bayer Leverkusen). Il calcio è stata una grande passione di Mykola fin da giovane, anche se dovette in fretta rinunciare alla carriera professionistica su pressione dei genitori. Divenne quindi professore di storia, salvo poi lasciare l'insegnamento per far fortuna nel settore dei medicinali. Riuscì a rimettersi le scarpette tacchettate solo a quasi 45 anni, vestendo la maglia della sua squadra (in tutti i sensi). In città Mykola è molto amato, anche per i suoi atti di grande generosità. Il 24 febbraio 2022, primo giorno dell'invasione russa su vasta scala, Lykhovydov  si spinse fino al centro di Odessa per assicurarsi che i suoi 50 dipendenti avessero abbastanza contanti da spendere in assenza di sportelli bancomat funzionanti. Poi iniziò a consegnare medicinali e altri aiuti pratici. Regalò addirittura delle stufe ai soldati. Suo figlio aveva l'età di quegli stessi ragazzi mandati al fronte e si chiama Andriy, come l'ucraino più forte mai visto su un campo di calcio. 

Robert Carmona, l'ultima parola agli uruguagi

 Nel 2017 Andriy Shevchenko era ormai da un lustro un ex giocatore e si stava riciclando tutto sommato bene nelle vesti di allenatore proprio della sua Ucraina. A tornare in campo proprio non ci pensava e probabilmente sarebbe rimasto sorpreso della cocciutaggine di Robert Carmona, un quasi cinquantenne uruguaiano pronto a trasferirsi dall'altra parte del mondo solo per giocare nella terza serie piemontese.

Classe 1962, il centrocampista uruguaiano quello stesso anno si distinse infatti tra le fila dell'Audax Orione, in quella che sembrava l'ultima tappa di una carriera che oggi forse ancora non è finita. Dopo oltre duemila partite giocate e più di trenta maglie cambiate, Carmona non è infatti ancora stanco. La sua barba lunga e la sua chioma fluente e argentata lo fanno assomigliare a un sopravvissuto di un altro calcio: se Canniggia era "il figlio del vento" Carmona può fregiarsi forse del titolo di "nonno dello scirocco".  "Il mio segreto? Non posso dare una risposta. Ci sono diversi fattori: una buona alimentazione, la disciplina nell'allenamento, l'evitare l'alcol e la droga. E poi nonostante abbia avuto una vita difficile fin dall'infanzia ho sempre mantenuto un atteggiamento molto positivo", ha spiegato al quotidiano spagnolo Marca qualche anno fa. Il calcio ha davvero salvato la vita di Carmona. Da ragazzino giurò al padre sul letto di morte che sarebbe fuggito dal contesto difficile in cui era cresciuto proprio attraverso il pallone. Non ci mise molto a mantenere la promessa: il suo debutto professionistico si perde infatti addirittura negli anni Settanta quando era appena un adolescente. La sua vita, dentro e fuori dal campo, è andata avanti da allora sempre così: per tappe, tra continui stop and go.

A 19 anni una frattura scomposta di tibia e perone rischiò di fargli abbandonare subito lo sport mentre, qualche anno fa, un collasso polmonare ne mise a rischio forse l'intera esistenza. Nulla però ha mai fermato davvero Carmona, esempio vivente se ne esiste uno della ormai celebre "garra charrua" .  "Una volta ho quasi perso un occhio. Sono caduto su una recinzione e un filo spinato mi ha fatto cadere tutta la palpebra", ha raccontato lui stesso a Diarioconvos.com. Robert giura di essere sopravvissuto a ogni sfortuna grazie alla sua grande abnegazione e alla sua incrollabile cultura del lavoro: "Cristiano Ronaldo e io siamo simili in termini di professionalità", garantì qualche anno fa al Corriere dello Sport e forse, proprio per questo, entrambi non ci pensano proprio ad arrendersi alla vecchiaia appendendo le scarpette al chiodo. Il nome di una delle ultime compagini in cui Carmona ha militato sembra quasi un manifesto programmatico: Hacerle un gol a la vida (fare gol alla vita), l'ennesima promessa da mantenere con quello spirito uruguagio che vuole sempre "l'ultima parola".

Miura, Romario e gli altri "vecchietti" famosi

 In questo viaggio abbiamo attraversato continenti e visto campi che a volte orgogliosamente restano alla periferia dell'impero del pallone. Ma citeremo, forse per completezza e forse per diminuire i nostri sensi di colpa, anche quegli highlander più celebri e conosciuti al grande pubblico. L'inossidabile Kazu Miura, primo giapponese in Serie A con la maglia del Genoa all'alba degli anni Novanta, ancora non ha smesso di segnare e di incutere timore nelle difese nipponiche con quel soprannome, King Katzu, che effettivamente incute rispetto dovunque. O meglio, dovunque meno che in Italia (dove la sua parabola fu breve ma comunque marcata da un unico indimenticabile gol).

Le reti erano anche l'ossessione di Romario, detto anche O' Baixinho, il bomber che i nati nella seconda parte degli anni Novanta ricordano già incanutito rincorrere il traguardo dei mille gol in carriera. Il Pallone d'Oro Stanley Mattews fece invece l'ultima apparizione ad alto livello con il suo Stoke City in una vittoria per 3-1 sul Fulham. Era il 6 febbraio 1965 e lui aveva appena compiuto cinquant'anni. Col senno di poi, disse sempre di essersi pentito per essersi ritirato troppo presto: era convinto di avere nelle gambe almeno un altro paio di stagioni.

Non vanno infine dimenticati  gli eroi di casa nostra come Marco Ballotta, leggendario portiere di Parma, Lazio e Inter tra le altre, che giocò fino a più di quarant'anni in Champions League, prima di riciclarsi come attaccante nelle serie minori. Tutte storie umane che raccontano di una passione autentica per il calcio. Vengono in mente ascoltandole quelle partite infinite, che hanno riempito le giornate di milioni di ragazzi. Sfide senza mai un vero fischio finale, che il più delle volte venivano terminate solo dalla minaccia di qualcuno più anziano: "Io ve lo buco quel pallone se non la smettete". Ecco, a Boranga e ai suoi emuli per il mondo, quella palla alla fine non l'hanno mai sgonfiata. E probabilmente è stato meglio così.

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