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Blessing e le altre 270 ragazze rapite e dimenticate in Nigeria

Un anno fa l'assalto di Boko Haram alla scuola di Chibok, nel nord del Paese. L'Occidente ha retwettato tre milioni di volte l'hashtag #bringbackourgirls. Risultati: nessuno. Le ragazze, se vive, sono ancora schiave

Blessing e le altre 270 ragazze rapite e dimenticate in Nigeria - foto 1
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Blessing, 364 mattine fa, andava a scuola perché da grande voleva fare l'infermiera.

Con lei c'era Kauna che sognava di arrivare fino all'università. Hanatu invece voleva diventare una maestra. Loro e 267 compagne di scuola a Chibok non immaginavano che quella sarebbe stata l'ultima mattina della loro Vita. Vita con la V maiuscola, per rispetto di quanto hanno vissuto dal giorno in cui sono venute al mondo sino al 14 aprile 2014. Vita con la V maiuscola per differenziarla dalla vita che sono costrette a subire da quando un commando armato di Boko Haram non le ha rapite dalla loro scuola in nome di un integralismo islamico prossimo al fanatismo.

Blessing e le altre rapite (qualcuna è riuscita a scappare) sono quelle che il mondo occidentale voleva salvare a furia di tweet e di retweet: #bringbackourgirls è stato l'hashtag “topic trend“ (ossia di tendenza) della primavera 2014. Da Michelle Obama in giù quelle quattro parole sono state digitate circa tre milioni di volte su Twitter e su qualsiasi social media. Risultato? Praticamente nessuno. Nessuno ha riportato le loro ragazze ai loro genitori, nessuno ha mosso un dito per andarle fisicamente a cercare su pressione del ”popolo di Internet”. Va da sé che Onu e comunità internazionale non possono intromettersi negli affari interni dei singoli Paesi membri senza una formale richiesta di intervento da parte del governo locale. E Boko Haram a tutt'oggi è un grosso problema nigeriano: i miliziani vogliono trasformare la Nigeria in uno stato islamico. Non hanno manie egemoniche su altri territori: nemmeno la recente annunciata alleanza con i tagliagole dell'Isis è reputata del tutto credibile.

L'hashtag #bringbackourgirls è uscito dai trend topic di Twitter sin dall'estate scorsa come un tormentone estivo esce di classifica a settembre. Le “nostre” ragazze non sono uscite dalla schiavitù che Abubakar Shekau, leader di Boko Haram, ha deciso per loro. Le “nostre” ragazze sono affamate e in catene da qualche parte dell'Africa, date in sposa a chiunque abbia in tasca dodici dollari e mezzo per comprarle e dentro una mostruosità innata. Le “nostre” ragazze di certo non sono mai state nostre e forse non sono nemmeno più vive: secondo un quotidiano nigeriano il direttore dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani (Unhchr), Raad Zeid al Hussein, avrebbe detto che "potrebbero essere state tutte uccise" nella città di Bama.

Le 270 di Chibok non sono le sole “dead woman walking” in Nigeria: le truppe regolari del governo di Abuja hanno liberato la città di Damasak da Boko Haram ma si sono accorte che i miliziani avevano preso 506 ragazze e bambine. Anche loro scomparse nel nulla. Forse uccise come i 15 bambini prelevati da un villaggio poco dopo i fatti di Chibook senza nessun hashtag dedicato. I soliti ben informati parlano di duemila donne rapite da Boko Haram. A gennaio una di loro, una bimba di 10 anni è stata imbottita di esplosivo e mandata a morire su un autobus a Damaturu, nel nord est.

Un clic non salverà le ragazze. Ne è certo chi studia l'attivismo sociale in Rete. Per essere effettivo l'impegno virtuale deve essere seguito da un impegno concreto come lettere scritte e inviate alle autorità competenti, incontri e manifestazioni di piazza per sensibilizzare l'opinione pubblica (che, ricordiamoci, non è la stessa di Internet). Un passo in avanti in questa direzione potrebbe essere la Global School Girl March programmata per martedì 14 in diverse città del mondo. Le informazioni sono su Facebook, le speranze no.