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Diritti e oppurtunità dell'Ue

Maurizio Ferrera del Corriere

13 Giu 2004 - 16:46

Sono pochi i cittadini che hanno capito cosa c'è di «europeo» in queste elezioni. Il voto appassiona se c'è qualche posta in gioco: le tasse, il welfare, le grandi scelte internazionali. L'Unione Europea ha poche competenze in questi settori. Ci ha portato la moneta unica, sorveglia i mercati e i bilanci pubblici. Ma per molti elettori l'euro
è stato un po' una delusione, mentre i vincoli di Bruxelles a volte impongono sacrifici difficili da accettare. I partiti poi hanno parlato pochissimo di Europa. E' giusto quindi chiedersi: c'è qualcosa di concreto e di positivo che l'Unione fa per i suoi cittadini? E se c'è, qual è il contributo del Parlamento europeo, l'assemblea per cui andiamo a votare? Essere cittadini vuol dire avere dei diritti: libertà, facoltà, tutele garantite dalla legge. Sono i diritti che ci rendono insieme liberi ed eguali, che ci fanno sentire parte di una stessa comunità.
 
Il processo d'integrazione può, anzi deve essere valutato anche sotto questo profilo. L'Europa ha migliorato la qualità della cittadinanza? La risposta è senz'altro affermativa e va cercata nei due principi ispiratori di tutto l'edificio comunitario.

Il primo principio è il più noto: la libertà di movimento. Una libertà che non vuol dire solo viaggiare senza passaporto, ma soprattutto possibilità di studiare, lavorare, comperare, investire o somplicemente stabilire la propria residenza dove ci pare. Sono diritti che diamo ormai per scontati, ma che non esistevano solo pochi decenni fa; diritti che possiamo far valere di fronte alla Corte di Strasburgo e che perdiamo quando usciamo dal territorio dell'Unione. Diritti che ampliano e arricchiscono in modo significativo le nostre opportunità di scelta e di vita, soprattutto per i giovani.

Il secondo principio è meno noto, ma altrettanto importante: la tutela contro le discriminazioni. L'Ue è andata sempre più affermandosi come guardiano delle «pari opportunità», proibendo molte forme di disuguaglianza basate su criteri inaccettabili, come le convinzioni personali, la disabilità, l'età, l'orientamento sessuale, per non parlare di razza e religione. Particolarmente incisivi sono stati i divieti di discriminazione in base alla nazionalità e al genere.

Non essere discriminati in base alla nazionalità è uno dei primi, grandi diritti civili pan-europei. Ma esso è al contempo anche un diritto sociale: consente a tutti i cittadini Ue di accedere ai sistemi di welfare (sanità, scuola, pensioni) di qualsiasi Stato membro, in condizioni di parità con chi ha la nazionalità di quello Stato.

L'eguaglianza di trattamento fra uomini e donne è un terreno ove gli effetti dell'integrazione sono stati ancora più forti. Molti Paesi hanno dovuto cambiare leggi e consuetudini (ad esempio nei rapporti di lavoro) per rispettare le norme Ue. Anche in questo caso non si tratta di un diritto puramente «formale». La sua applicazione ha avuto conseguenze concrete per tante donne: ad esempio aumenti di stipendio per allineare le retribuzioni fra maschi e fmmine a parità di mansione.

Il Parlamento ha svolto nel tempo un ruolo importante nel promuovere la cittadinanza europea. E' stato soprattutto il Parlamentò a definire quella Carta dei diritti fondamentali dei cittadini che è stata prima adottata dal vertice di Nizza nel 2000 e poi inserita nel progetto di Trattato costituzionale, ora giunto in dirittura d'arrivo. Lungi dall'essere una "fabbrica di fotocopie" (come si è sentito dire da qualche politico), l'Assemblea di Strasburgo sta gradualmente diventando ciò che sono tutti i parlamenti democratici: una fabbrica di diritti. Certo, la sua capacità produttiva è limitata, anche a causa di vincoli istituzionali.

Ma è una capacità che può crescere, soprattutto se sorretta da opinioni pubbliche più informate e consapevoli di ciò che l'Unione può fare sul terreno della cittadinanza. Per questo è importante, il 13 giugno, ricordarsi di essere anche elettori europei: elettori cioè di un Parlamento comune, volto ad aumentare le opzioni e le sicurezze di un «popolo» multi-nazionale che sta lentamente costruendo la sua nuova identità.

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