Il feretro portato in California
L'America si è fermata per l'ultimo saluto a Ronald Reagan. I funerali di Stato dell'ex presidente, il 40esimo degli Stati Uniti, hanno occupato 4 ore e mezzo di diretta televisiva. A bordo di un Air Force One, il feretro ha poi lasciato la Cattedrale Nazionale di Washington, per raggiungere la California, dove avverrà l'inumazione. La bara è stata accompagnata dalla moglie Nancy, dai familiari e dall'ec premier britannico Margaret Thatcher.
Così l'America, spaccata in due, ferita dalle conseguenze della crisi irachena, traumatizzata dagli orrori di Abu Ghraib, nel bel mezzo di una campagna elettorale spietata e che sarà sempre più dura, ha ritrovato la sua unità.
Tutto nel ricordo di Reagan. E lo ha fatto con una coreografia hollywoodiana, solenne e commovente allo stesso tempo. I militari, ciascuno in rappresentanza di una delle armi hanno seguito impeccabili il feretro. Dietro di loro, fragile ma diritta e orgogliosa, l'ex first lady apriva il corteo in tailleur nero, a braccetto di un ufficiale pluridecorato.
Poi i rumori: il suono sordo delle campane che si ripetava a scadenze regolari, il tuono delle salve dei cannoni, il ritmo secco del passo di marcia dei militari, dei militari, il tintinnio delle medaglie sul petto.
Il grande silenzio in cui questi rumori gli uni sugli altri hanno fatto da overture alla cerimonia che si è tenuta nella cattedarle al cospetto dei potenti del mondo e dei grandi della storia: Margaret Tatcher, la Lady di Ferro, anche lei vestita rigorosamente di nero, Michail Gorbaciov, l'amico nemico di Reagan, Brian Mulroney, l'ultimo grande conservatore canadese sono stati fra i pochi ammessi la sera prima a Blair House, per un incontro privato con Nancy. Dal pulpito, parole commosse e lacrime per George Bush Sr., che fu vicepresidente dei Reagan, in cravatta nera. Parole scherzose del presidente in crica, George W. Bush e musiche: fra tutte la più commovente è stata una performance straordinaria di Amazing Grace, uno degli inni più conosciuti a livello popolare in onore della libertà; quando è stato suonato l'inno alla gioia di Beethoven, tutti si sono alzati in piedi. Bill Clinton, con Hillary si è unito al coro, di fianco a lui gli altri presidenti, in ordine di anzianità, Jimmy Carter e signora e Gerald Ford. Due democratici e due repubblicani. Proprio quel simbolo di unità bipartitica che cercava il paese. Non c'è dubbio però che la cerimonia finisce per diventare uno "spin" a favore dei repubblicani. George W. Bush si considera l'erede più diretto di Reagan, prima ancora che di suo padre. Il fatto che sullo sfondo ci sia una campagna elettorale non può essere dimenticato. Nè lo dimenticherà Karl Rove, lo stratega di Bush, che riproporrà le immagini più commoventi di Reagan durante la campagna elettorale e alle convenzioni per puntualizzare che il nuovo centro politico ruota attorno alle tesi affermate a un presidente che riunì l'America ma che fu prima di tutto repubblicano. Neppure troppo velato del resto è il tentativo di Bush di identificare le battaglie per la libertà e contro il comunismo di Reagan con le nuove sfide dell'amministrazione americana di oggi alle prese con la guerra al terrorismo. "Reagan - ha detto Bush nella sua omelia - credeva nel coraggio e nel trionfo degli uomini liberi. La nostra forza è anche il suo coraggio: ci ha fatto vedere come ci si comporta". Più esplicito è stato John Danforth, ex senatore repubblicano del Missouri, il sacerdote episcopale che ha celebrato la messa e che sostituirà alle Nazioni Unite l'ambasciatore John Negroponte. La visione di Reagan, ha detto, rassicura l'America alle prese con le tenebre del terrorismo. Che ci dia forza. Che dia forza per unire il paese.