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La Consulta boccia la prescrizione della lira decisa dal governo Monti

Per i giudici della Corte costituzionale si tratta di una decisione illegittima nonostante il fine fosse quello di ridurre il debito pubblico

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La prescrizione anticipata della lira decisa dal governo Monti è illegittima. Lo ha deciso la Corte Costituzionale bocciando il provvedimento con cui nel 2011 l'esecutivo stabilì, con decorrenza immediata, la prescrizione anticipata delle lire ancora in circolazione a favore dello Stato. La norma fu decisa per ridurre il debito pubblico, ma per i giudici questo "non può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale".

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata nell'aprile dello scorso anno dal Tribunale di Milano nel corso di un giudizio promosso da alcuni risparmiatori, che avevano chiesto la condanna della Banca d'Italia al pagamento del controvalore delle banconote in lire in loro possesso, pari alla somma complessiva di 27.543,67 euro, oltre al risarcimento dei danni, affermando di avere inutilmente tentato di convertire le banconote in euro presso varie filiali della Banca d'Italia.

Dopo l'arrivo dell'euro, infatti, una legge del 2002 aveva previsto che la conversione delle lire aventi corso legale poteva avvenire a richiesta degli interessati fino al 28 febbraio 2012. Ma il decreto-legge 201 del 6 dicembre 2011, varato dal governo Monti, ha invece stabilito, in deroga alla legge del 2002, che "le lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell'Erario con decorrenza immediata" e che "il relativo controvalore è versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere assegnato al fondo per l'ammortamento dei titoli di stato". Il decreto fu poi convertito in legge e a partire dal giorno successivo dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della norma, le vecchie lire sono state prescritte.

Ora, però, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il provvedimento. "Non è dubitabile - si legge nella sentenza - che il quadro normativo preesistente alla disposizione denunciata di incostituzionalità fosse tale da far sorgere nei possessori di banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino alla sua prevista scadenza decennale". E "il fatto che, al momento dell'entrata in vigore della disposizione censurata, fossero già trascorsi nove anni e nove mesi circa dalla cessazione del corso legale della lira non è idoneo a giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote in lire possedute".

Per il giudice, inoltre, "nemmeno la sopravvenienza dell'interesse dello Stato alla riduzione del debito pubblico può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale", che "estingue ex abrupto" un diritto. La norma è dunque illegittima, visto che "nel caso in esame non risulta operato alcun bilanciamento fra l'interesse pubblico perseguito dal legislatore e il grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire".