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Per crescere, patto tra generazioni

E' la proposta dei Giovani imprenditori

04 Giu 2004 - 19:00

La concertazione come unica alternativa a conflitti e consociativismi, un nuovo patto tra generazioni come atto di responsabilità. Sono le due proposte forti uscite dal convegno dei Giovani imprenditori di Confindustria, che si sono riuniti a Santa Margherita Ligure. "La concertazione è una cultura e un valore: l'unica alternativa al conflitto e al consociativismo", ha detto la presidente Anna Maria Artoni nella relazione di apertura.

"A undici anni dalla svolta del '93" ha continuato "è necessario lanciare un nuovo grande patto sociale. Proprio come allora, di fronte alle difficoltà della politica, imprese e sindacati devono unirsi per il rilancio del Paese. Proprio come nel '93, oggi abbiamo bisogno di correre su due binari: sviluppo e coesione sociale".

Ma la differenza, dopo undici anni, ha proseguito il leader degli under 40 di Confindustria, "è che non possiamo più permetterci di giocare solo in difesa: contenimento dei salari e del costo della vita, risanamento dei bilanci pubblici. Oggi la concorrenza dei nuovi giganti mondiali ci impone di giocare all'attacco. La nuova concertazione ha obiettivi diversi: innovazione, investimenti in ricerca e tecnologia, aumento della produttività, qualità delle risorse umane. E' una partita nuova, che però dobbiamo e possiamo vincere con lo stesso gioco di squadra, con la stessa cultura che ci ha permessi di vincere la partita degli anni '90".

Artoni ha sottolineato che "questa volta, a differenza di allora, il sentiero è stato già tracciato fuori dai nostri confini. Il nostro grande obiettivo" ha concluso "è quello di realizzare l'economia della conoscenza più competitiva del mondo".

CI VUOLE UN NUOVO PATTO TRA LE GENERAZIONI

L'Italia "ha i capelli bianchi" e ha bisogno di un nuovo patto tra generazioni per fare lavorare tutti di più e meglio secondo i Giovani imprenditori. "Non possiamo accettare" ha detto Artoni "due mondi del lavoro, due prospettive radicalmente diverse di qualità della vita che condannano intere generazioni a un eterno limbo. E' necessario individuare un nuovo comune denominatore nel campo dei diritti sociali, fondato sulle esigenze di flessibilità dell'intero sistema produttive e al tempo stesso sulla redistribuzione delle tutele e dei trattamenti fra le generazioni".

L'Europa, l'Italia, ha aggiunto la Artoni, "sono prigioniere della trappola del riformismo. E così vince l'immobilismo che nasce dalla necessità di sopravvivenza politica". Prova ne sono, ha spiegato la giovane industriale emiliana, gli innumerevoli tentativi di riforma del welfare attuati in Europa e rimasti sulla carta: nel corso degli anni '90, ha ricordato la Artoni, i sistemi di welfare e i mercati del lavoro dei Paesi dell'Ue sono stati oggetto di un numero impressionante di riforme: quasi 200. Ma l'80% di esse non avevano natura strutturale".

NIENTE PIU' CONTRATTI REGIONALI, SI' ALLE RETRIBUZIONI LEGATE ALLA PRODUTTIVITA'

La Artoni dice "no ai contratti regionali o territoriali, no alle nuove gabbie salariali, sì ai contratti aziendali che leghino la retribuzione alla produttività e all'andamento dell'azienda. C'è qualcosa che imprese e sindacati possono fare, subito e senza il governo per aumentare il dinamismo del nostro paese e migliorare l'efficienza del mercato del lavoro e la qualità della vita nelle aziende. Nelle trattative per il salario l'organizzazione del lavoro è necessario dare ampio spazio al secondo livello, legando le retribuzioni alla produttività e all'andamento dell'azienda in imprese di dimensioni non esigue, mentre il contratto nazionale deve assumere una funzione normativa, garanzia di diritti e retribuzione minima. Si darebbe vita così a un modello più efficiente, capace di redistribuire parte della ricchezza laddove viene prodotta e di favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, incentivando gli investimenti e l'occupazione nel Mezzogiorno". Secondo Artoni, "l'alternativa è che si apra una stagione di rivendicazioni salariali sganciate daqualsiasi compatibilità economica, e quindi pericolosamente in grado di riportare l'Italia indietro di decenni".

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