Splendidi smalti e manufatti di orificeria realizzati nel Ducato dfi Milano
Oro dai Visconti agli Sforza Museo Diocesiano 28/09/2011 © Gianni Marussi
Il Museo Diocesiano si appresta a compiere a novembre i dieci anni di attività e presenta per celebrarli una grande mostra aperta fino al gennaio 2012.
Il Presidente Mario Brianza vorrebbe che "si evidenziasse quanto in questi dieci anni il museo abbia cercato, con esiti positivi, di porsi in relazione con la Città e soprattutto con i giovani, cercando di non disattendere la propria funzione di conservazione del patrimonio, ma di allargarla ai temi della divulgazione e della comunicazione”.
Per il Direttore, Paolo Biscottini: “il museo non è solo il luogo della conoscenza, ma anche e forse oggi soprattutto dell’esperienza della bellezza come scoperta di una dimensione nuova del vivere”.
Poche corti possono eguagliare in sfarzo e ricchezza quella viscontea- sforzesca tra XIV e XV secolo.
La mostra intende esplorare, per la prima volta in Italia, l’evoluzione dell’arte orafa a Milano tra il XIV e il XV secolo, attraverso 60 capolavori, tra smalti, oggetti d’oreficeria sacra e profana, codici miniati provenienti dai più prestigiosi musei e istituzioni italiani e internazionali, come la National Gallery di Washington, il Louvre di Parigi, il Musée Massena di Nizza, la Collezione Valencia de don Juan di Madrid, la Cattedrale di Essen (Germania).
Questa splendida mostra documenta la capacità incredibile di produrre manufatti preziosissimi che hanno resa Milano famosa nel mondo.
L’eccezionalità dell’esposizione è testimoniata dal fatto che, in virtù della loro fragilità, molti dei pezzi presentati escono per la prima volta dal museo che li conserva e dove, in alcuni casi per timore di essere danneggiati dalla luce, non vengono esposti al pubblico. Il mecenatismo dei Visconti, alla fine del XIV secolo, rese Milano il centro artistico più attivo e importante dell’epoca, famoso in tutta Europa. Nel 1360, Galeazzo II Visconti fece erigere il castello di Pavia, trasformandolo ben presto in uno scrigno di codici, miniati dai più famosi maestri del tempo, come Giovannino de’ Grassi e Michelino da Besozzo, pittore e miniatore, qui con il codice Elogio funebre di Gian Galeazzo Visconti, con la raffigurazione dell’incoronazione a Duca di Gian Galeazzo Visconti, proveniente dalla Bibliothèque Nationale di Parigi, e col foglio miniato Dama con falcone, dal Louvre di Parigi. Proprio a Gian Galeazzo Visconti (1351-1402) e alla figlia, la bella Valentina, sposa di Luigi d’Orléans, fratello del re di Francia, si legano alcuni gioielli, realizzati con la tecnica a smalto detta en ronde-bosse, in cui lo smalto è steso sopra l’oro lavorato a rilievo, creando così delle micro sculture, caratterizzate da soggetti naturalistici, anche in senso araldico, come la tortorella su un sole raggiato e il motto À bon droyt, che tradizione vuole creato da Francesco Petrarca.
Dopo la morte dell’ultimo erede Filippo Maria Visconti, che portò al grande saccheggio del Castello Visconteo e alla dispersione del tesoro, la tradizione orafa milanese seppe continuare anche sotto la dinastia degli Sforza, com’è testimoniato dal Tabernacolo realizzato per la cattedrale di Voghera (1456 circa; ora nelle Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano), le cui forme tardogotiche ricordano l’architettura del Duomo di Milano.
Un rinnovato vigore segnò il ducato di Ludovico il Moro che ricostruì il tesoro dinastico, la cui bellezza e ricchezza riuscì a stupire una raffinata collezionista quale Isabella d’Este, signora di Mantova. Sono anni che vedono la presenza di Caradosso Foppa, maestro di Benvenuto Cellini, orefice abile nell’arte degli smalti, ma anche quella di Leonardo da Vinci che si dilettava nella creazione di cinture e borsette, studiando gli smalti e altri materiali per produrre perle finte e oggetti preziosi. Alcune opere in mostra ricordano il passaggio a Milano del genio toscano del Rinascimento, come la piccola anconetta del Museo Correr di Venezia, esposta per la prima volta, che cita la Vergine delle rocce, o la Pace con il Cristo in smalto azzurrato proveniente da Lodi. Proprio la tecnica a smalto è una delle caratteristiche più riconosciute dell’oreficeria visconteo-sforzesca. In particolare, gli artisti milanesi sperimentarono lo smalto "a pittura", la cui qualità realizzativa spesso gareggiava con la miniatura. Ne è un esempio, il medaglione apribile che arriva dalla Collezione Valencia de Don Juan di Madrid, con la Deposizione della croce che si staglia sulla raffigurazione della basilica milanese di San Lorenzo, un’opera eseguita affinché il fedele potesse ripercorrere gli episodi della Passione di Cristo, o ancora il Tabernacolo Pallavicino (ante 1495), proveniente dal Museo Diocesano di Lodi, donato alla cattedrale della città dal vescovo Carlo Pallavicino, ricco di smalti e corredato da statuette d’argento, che si avvicinano alla bottega dei Mantegazza, grandi scultori del Rinascimento lombardo che dimostra quanto l’oreficeria sia in stretto dialogo con l’architettura del momento. Attraverso una serie di cinture ravvivate da inserti smaltati, l’esposizione testimonierà inoltre quanto gli artisti orafi contribuirono all’evoluzione della moda milanese, completando le invenzioni di Beatrice d’Este, la giovane moglie di Ludovico il Moro. E sempre legato alla figura di Beatrice è il raro codice, proveniente dalla Biblioteca Trivulziana di Milano, il Canzoniere per Beatrice d’Este, scritto dal poeta Gasparo Visconti (1495- 1496).
Chiudono idealmente l’esposizione i Tarocchi della Pinacoteca di Brera, carte da gioco, con fondo d’oro puntinato sul quale campeggiano personaggi abbigliati alla moda in uso nella corte del Ducato di Milano.
ORO DAI VISCONTI AGLI SFORZA
Smalti e oreficeria nel Ducato di Milano
30 settembre 2011 – 29 gennaio 2012
Orari: dal martedì alla domenica, 10-18, lunedì chiuso.
Ingresso: intero: 8 Euro; ridotto 5 Euro.
Catalogo: Silvana Editoriale (www.silvanaeditoriale.it)
Informazioni: tel. 02.89420019 - info.biglietteria@museodiocesano.it - www.museodiocesano.it
Ufficio stampa: CLP Relazioni Pubbliche
tel. 02.433403 - 02.36571438 - fax 02.4813841 - press@clponline.it - www.clponline.it
Museo Diocesano
Corso di Porta Ticinese, 95
Milano
© Gianni Marussi
Oro dai Visconti agli Sforza Museo Diocesiano 28/09/2011
“Con bel smalto et oro”. Oreficerie del Ducato di Milano tra Visconti e Sforza di Paola Venturelli
© Gianni Marussi
Oro dai Visconti agli Sforza Museo Diocesiano 28/09/2011
Per il Direttore del Museo Diocesano di Milano, Paolo Biscottini, la mostra che inaugura il decennale del Museo Diocesano ha alle spalle innumerevoli studi che trovano il loro fulcro nella grande esposizione che nel 1958 a Palazzo Reale venne dedicata all’Arte lombarda dai Visconti agli Sforza.
Gian Alberto Dell’Acqua, che della mostra e di studi precedenti e seguenti relativi all’argomento fu certamente uno dei grandi interpreti, mi parlava spesso dell’entusiasmo che accompagnò tutta l’iniziativa.
Si riscopriva la grandezza di Milano, la sua dimensione internazionale e il suo vero ruolo nel lento trapasso dal linguaggio tardo-gotico a quello rinascimentale.
Si veniva chiarendo che, come non era possibile distinguere radicalmente la produzione artistica viscontea da quella sforzesca, né tanto meno “intendere i nomi delle due dinastie principesche a guisa di simboli di altrettante, ed opposte, posizioni di gusto”, così non si poteva avanzare l’ipotesi di un passaggio netto dal gotico alla rinascenza, chiarendosi sempre di più la gradualità e anche la mescolanza linguistica che, sosteneva Dell’Acqua, nelle arti applicate si evidenziava ancor meglio e più chiaramente che nella pittura o nella scultura.
Il Museo Diocesano, che con questa mostra chiude il primo decennale della sua vita, desidera allora ricordare il grande studioso e maestro che alla nascita di questa istituzione della diocesi ambrosiana contribuì in modo rilevante, partecipando non solo a tutte le commissioni di studio preparatorie al progetto, ma prodigandosi, già molto in là con gli anni e non più impegnato nella vita attiva, in consigli e suggerimenti a chi scrive, fino a voler partecipare con entusiasmo all’inaugurazione del 2001, pur già costretto in una sedia a rotelle.
Da lui nacque l’idea di una mostra ampia che dai Visconti agli Sforza creasse il contesto in cui collocare quella cappella Portinari che egli contemplava dalla finestra della sua casa di via Santa Croce, e che noi consideriamo al centro del complesso di Sant’Eustorgio, in cui l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, volle collocare questo Museo, perché vivesse anche della forza simbolica del luogo.
Allo studioso, innamorato dell’arte lombarda nelle sue diverse epoche, non sfuggiva la centralità del Foppa e anche di quell’apporto architettonico che univa Milano al gusto e alla sensibilità toscana.
Appare inutile raccontare perché quella mostra non si riuscì a fare, ma non si può non dire che questa, che oggi inauguriamo, nasce da lì e anche da lui, dalle sue intuizioni e dalla sua passione.
Negli smalti e nell’oreficeria dai Visconti agli Sforza nel Ducato di Milano andiamo cercando dunque il filo di uno stile lombardo e il lento mutamento del linguaggio, apprezzando la ricchezza viscontea e la sua graduale conquista di forme sempre più salde nello spazio e più intensamente impegnate sul piano narrativo.
Potremmo dire che, passando da un’opera all’altra, lentamente nel proseguo degli anni, andiamo verso una visione sempre più lucida della realtà e una concezione umanistica più determinata, mentre le tecniche si vanno affinando, anche in risposta a committenze sempre più elevate. Ma soprattutto si avverte il senso di un percorso ininterrotto, in cui gli artisti rinnovano schemi precedenti, attenti all’arte del passato e pronti a innervarla di spunti nuovi, coerenti con l’evoluzione del gusto, ma anche con gli altissimi esempi della tradizione, rappresentata da maestri sommi. Così nel Tabernacolo di Voghera, conservato al Castello Sforzesco, scorgiamo corrispondenze sorprendenti con l’architettura del Duomo di Milano e, come nota Paola Venturelli in catalogo, con la miniature di Giovannino de Grassi.
Analogamente nel Tabernacolo Pallavicino la struttura del tempietto sembra porsi in stretta connessione con l’interno dell’Incoronata di Lodi, voluta dallo stesso Carlo Pallavicino su disegno di Giovanni Battaggio. E nelle statuette degli apostoli intorno i riferimenti artistici richiamano i modi aspri e accartocciati della scultura dei Mantegazza, mentre gli smalti evidenziano contatti con maestri raffinatissimi di ambito leonardesco.
Il Ducato di Milano diviene un grande e sorprendente laboratorio di idee e di stile che va definendo un linguaggio decisamente lombardo di chiara e icastica evidenza.
Il Museo Diocesano dichiara con questa mostra il suo radicamento nella storia dell’arte lombarda, di cui vuole cogliere la peculiarità e l’incessante aspirazione alla novità, al progresso.
Valori fondanti di uno stile che, pur facendo costantemente leva sul passato, sa mescolare nuovo e antico in opere di rara bellezza, dove l’attenzione si sposta continuamente da questioni prettamente artistiche a ragioni devozionali, sempre portate a un livello qualitativo altissimo, grazie anche all’intervento di grandi maestri e al continuo aggiornamento stilistico. Fra queste opere si avverte la necessità di menzionare almeno il Reliquiario degli Innocenti (Milano, Museo della Basilica di Sant’Ambrogio), che purtroppo non può essere nella nostra mostra, mentre era in quella del 1958.
In esso sorprende l’incrocio di valori diversi, concorrenti a configurare una “delle cose più pregevoli dell’arte lombarda prima del 1450”.
L’iconografia, collegata alla liturgia ambrosiana per la particolare venerazione del 28 dicembre in Duomo,è sostenuta da un impianto stilistico prossimo alle cose tarde di Michelino da Besozzo, mentre il sistema narrativo è stato giustamente accostato da Sandrina Bandera al ciclo degli Zavattari a Monza.
L’interesse della mostra per le arti decorative di questo periodo costituisce un’occasione suggestiva per ripensare non solo al mecenatismo della corte milanese, ma più in generale al ruolo di Milano in questo ambito, alla ricchezza e alla diversità delle tecniche e dei materiali impiegati per il raggiungimento di una preziosità che è negli intenti e negli ideali prima ancora che nell’oro e negli smalti.