A vent'anni una psichiatra le ha detto: "tu sei anoressica" Per Michela comincia un'esperienza lunga e dolorosa che la porterà a fare pace con se stessa
Editore: MondadoriAnno: 2011Pagine: 216 © Ufficio stampa
Un tema delicato che per anni è stato un tabù, un silenzio che col passare del tempo ha alimentato soltanto pregiudizi. “Si continua a pensare che l’anoressia sia il semplice fatto di non aver fame, che basti sforzarsi un po’ per ricominciare a mangiare, ma non è così. La fame non scompare mai, è sempre presente e ci si sente in colpa quando si mangia”.
Sono le parole di Michela Marzano, filosofa e scrittrice, che in un’intervista ci spiega le motivazioni che l’hanno spinta a scrivere Volevo essere una farfalla, un libro-diario in cui racconta la sua vita da anoressica. “Vorrei far capire che l’anoressia non è una malattia, ma il sintomo di qualcosa che non va nel profondo. È la reazione a un grande dolore e si utilizza il corpo per esprimerlo, anche se il rischio è quello di morire senza aver mai spiegato cosa c’è davvero che non va”.
Cosa c’era nella sua vita che non funzionava?
Veniva accettata solo una parte del mio essere e cioè quella conforme alle aspettative e non la mia parte di fragilità. Come se intorno a me, fin da quando ero piccola, mi fosse stato detto: “Tu sei questo e nient’altro”. Invece, avrei avuto voglia di sbagliare, di cadere o di fare degli errori. Mi sono costruita una gabbia da cui non riuscivo a fuggire.
Sognava di poter essere leggera come una farfalla?
Sognavo di essere amata per quello che ero. Per tanto tempo ho pensato che l’unico modo di essere leggera fosse quello di perdere chili, ma in realtà perdendo peso, la mia vita diventava sempre più pesante. Ora sono leggera perché mi sono conquistata la libertà mentale.
Quando ha cominciato a soffrire di anoressia?
Intorno ai diciannove anni, durante il primo anno di università. Era un periodo di grandi sacrifici perché avevo appena vinto il concorso alla Normale di Pisa e il mio unico scopo era quello di essere la più brava. Non mi permettevo e perdonavo niente.
Nel libro parla molto della presenza di suo padre. Quanto ha influito nella sua vita?
Mio padre non è mai stato molto tenero, era molto esigente, così io ho cominciato a prendere qualunque giudizio in maniera negativa e ogni osservazione diventava una montagna da scalare, finché sono stata io stessa a non sentirmi più all’altezza.
E sua madre che ruolo ha avuto?
In questo mio percorso di psicanalisi ho riscoperto mia madre. Uno dei miei problemi è stata l’assenza di una figura materna protettiva, lei era lì ma non la percepivo. Con l’andare del tempo l’ho ritrovata ed è diventata il mio punto di riferimento, purtroppo questa stella polare prima non la vedevo.
Si sentiva amata?
Non lo so. In quel momento per me l’amore era un do ut des, non riuscivo a sentirmi amata indipendentemente da quello che facessi.
Oggi si sente completamente guarita?
Mi sento bene con tutte le difficoltà della vita e non ho paura di una ricaduta perché ora ragiono in maniera diversa. Ci ho messo quarant’anni prima di essere me stessa e di essere contenta di vivere.
Come sono i rapporti con i suoi genitori?
A distanza. Io vivo in Francia e loro in Italia e, purtroppo o per fortuna, li vedo raramente. Non li cerco più per chiedere conferme o cercare amore. Li amo, ma sono separata da loro.
Come hanno reagito all’uscita del suo libro?
So che c’erano delle preoccupazioni da parte loro, ma non so se mio padre lo abbia mai letto, forse non lo farà mai. Quello che mi ha stupito però sono le tante lettere d’affetto da parte di persone che nemmeno conosco. Una ragazza mi ha scritto: “Nel suo libro ho visto delle frasi che sento dentro di me, ma che non so pronunciare”. Non pensavo che scoprirsi e mostrare le proprie fragilità potesse suscitare tanto amore.
Editore:Mondadori
Anno: 2011
Pagine: 216