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Dom Carella: i segreti dei cocktail a tavola

Il bartender, consulente dei più grandi chef stellati al mondo, ci racconta gli aspetti più interessanti legati alla sua professione 

Dom Carella

Negli ultimi anni, complice anche il crescente interesse per la mixology sono molti i ristoranti che hanno deciso di osare proponendo cene in cui in abbinamento ai piatti vengono proposti cocktail. E' necessario avvalersi di professionisti qualificati capaci di creare un’offerta ad hoc: il pairing può migliorare l’esperienza di una cena. Per capirne di più Federico S. Bellanca ha intervistato Dom Carella, reputato uno dei maggiori esperti al mondo sull’argomento, che negli ultimi anni ha seguito consulenze di livello internazionale affiancando i migliori chef come il celebre Chef tristellato francese Mauro Colagreco, la slovena Ana Roš con il suo leggendario Hisa Franko, o ancora il futuristico ristorante indiano di Dubai Tresind Studio, che ha appena ricevuto la stella nella nuovissima Michelin dedicata all’emirato. Ecco la sua storia e i consigli per capire i cocktail a tavola.

 

 

Dom Carella, ti va di raccontarci com’è iniziata la tua carriera e come ti sei avvicinato al mondo del bar?

 

Sono nato a Bernalda, provincia di Matera. Ho iniziato a lavorare nel mondo dell’hospitality quando avevo 17 anni, andavo a scuola e lavoravo come chef in un locale. Nel‘99 quando mio fratello compì 18 anni, grazie a nostro padre avemmo l’occasione di gestire la nostra prima sfida: trasformammo il podere di campagna di famiglia in un agriturismo, diventato una sala ricevimenti con piscina ed infine il drive-in più grande d’Europa. Una sfida imprenditoriale che purtroppo all’epoca ebbe non pochi problemi (anche se ha resistito fino ad oggi, diventando con il tempo un’insegna importante in terra ionica), ma che mi diede l’occasione di scoprire la mia passione, ovvero gestire la parte food&beverage; all’epoca non conoscevo neanche l’abc però mi entusiasmava questo “servire la gente”. Passai gli anni successivi dietro i fornelli e non solo: dalla pala del pizzaiolo fino a fare il cameriere, e anche a gestire l’organizzazione finanziaria, non c’è ruolo che io non abbia coperto in questo mondo. Continuai fino ai 25 anni, quando scoprii di essere intollerante al glutine. Per un anno ho provato a lavorare con la mascherina ma la cosa mi aveva tolto un po’ tolto d’entusiasmo. Ho deciso quindi di cambiare vita e mi sono avvicinato al mondo del bar. Aprii un locale dove facevamo una bella miscelazione e da lì ho iniziato ad approcciarmi al mondo della mixology più d’avanguardia. Decisi di mettermi alla prova, e alla mia prima Campari Competition, mi posizionai nei primi 6 super finalisti; venendo da un paesino di 9000 abitanti fu per me un bel traguardo. Da li ho iniziato a conoscere persone e a ricevere offerte di lavoro che inizialmente declinavo, fino a che non è arrivata quella giusta. Grazie ad una presentazione di Giancarlo Mancino, sono stato contattato dalla Cina, dal ristorante italiano bistellato del gruppo 8 e Mezzo Bombana. Lì mi occupavo della beverage direction e fu un successone: basti pensare che dopo soltanto 3 mesi in Oriente mi arrivò la nomination di Time Out come uno dei 5 bartender più influenti della Cina. Dopo questa bellissima esperienza decisi di spostarmi a Londra a lavorare per i Galvin Brothers, dove c’erano 3-4 progetti da seguire, riavvicinandomi così un po' all’Europa e quindi anche a casa…

 

 

Poi sei rientrato in Italia e hai aperto Carico a Milano, un locale super esperienziale dove oltre ai cocktail il focus è anche sulla cucina…

 

Dall’esperienza britannica ho imparato che in Italia siamo fortunati. In Inghilterra infatti la qualità della vita è molto diversa, tra il tantissimo lavoro e gli spostamenti interminabili. Decido quindi di rientrare a Milano come consulente per il Gruppo Dry, e decido anche di aprire un piccolo pop up da me in Basilicata per rilanciare un po’ l’attività di famiglia. Ma ancora non era il momento: sono tornato ad Hong Kongper seguire Pirata Group che all’epoca 3 outlet, e alla mia ripartenza ne aveva più di 10. Davvero entusiasmante.

Rientro da Hong Kong a Milano dove faccio da consulente per Langosteria (che poi ho continuato a seguire a più riprese per tutti i progetti vecchi e nuovi), mi occupo della direzione generale di Aimo e Nadia. Mentre seguivo Langosteria, poco lontano c’era il Bistrot di u amico che manifestava la voglia di andarsene, e mi chiese di dargli una mano a venderlo. Io ne parlai con il mio attuale socio Lorenzo Ferraboschi: anche lui voleva far qualcosa insieme visto l’aiuto che gli avevo dato nei suoi progetti. Da lì abbiamo individuato questo posto, smantellato tutto e abbiamo creato quello che era il nostro progetto: nasce così Carico.

 

 

Quello che molti non sanno è che parallelamente al tuo locale esiste un altro Dom Carella, che è tra i consulenti più apprezzati a livello internazionale, che vanta collaborazioni con i grandi chef. Ti va di raccontarci di com’è nato questo aspetto della tua carriera e i progetti per te più significativi?

 

Le consulenze una volta rientrato in Italia sono diventate il mio primo lavoro: ho iniziato a collaborare con chef importanti, a fare eventi in cucina comprendendo le difficoltà di dover affiancare l’”etoile” e creando quello che mi piace definire “un mondo miscelato adatto alla ristorazione”. La parola cocktail è molto fuorviante per tanti, quindi io parlo di “creazioni di beverage” che ben sposano il mondo della cucina. Nel mondo del bar ha la proposta classica di food è a base di snack che di solito sono grassi per assorbire, o ricchi di carboidrati per rendere la bevuta più agile “nascondendo” la reale gradazione di quello che bevi. Invece il lavoro di pairing nel mondo della cucina è un molto diverso: si tende a creare qualcosa di non troppo alcolico, di armonioso, che si leghi e completi i piatti e che non li smorzi. Si arriva da qui al paradosso del piatto che si appoggia alla bevanda, ma in modo molto diverso dai cocktail classici. Io non mi sognerei mai di abbinare un Martini Cocktail ad un’ostrica, mentre è bello mangiare un’ostrica bevendo un Martini Cocktail. Non mi permettere mai di legare un Negroni ad un antipasto essendo un aperitivo perché se lo mangerebbe totalmente, però ci sta benissimo un twist sul Negroni lavorato in modo che sia più morbido, più beverino e simpatico al palato.

 

 

Come si struttura il pairing di un ristorante stellato a quei livelli? Come parte il tuo lavoro?

 

Nel mondo della cucina è ovviamente il vino a farla da padrone. Ma il vino per quanto buono e complesso possa essere ha uno spettro gustativo ampio ma limitato per semplici motivi organolettici. Ci sono dei picchi che il vino non può raggiungere, degli aromi che il vino non può avere, delle evoluzioni che nel vino non si possono trovare e quindi vanno costruite. Si possono creare sapori che siano di contrasto o al contrario che diano una spinta gustativa al cibo. C’è lavoro di ricerca e sviluppo importantissimo da fare, e

tanti chef si stanno avvicinando a questo, stanno capendo che c’è un mondo inespresso che si può portare a tavola. E se tanti lo stanno facendo autonomamente, altri hanno bisogno di comprenderlo assaggiando, com’è giusto che sia. Se ribaltiamo la frittata, non è che se un bartender domani si mette a cucinare diviene uno chef, e lo stesso rispetto ci vuole al contrario. La figura del barman è una figura che va rispettata, bisogna dare spazio al lavoro di chi lo sa fare. Per la struttura del pairing a un livello del genere si parte dalla terra, dal posto, si parte dalle sensazioni. Un drink bevuto a Milano è diverso dallo stesso drink bevuto in Slovenia, che è diverso dallo stesso drink bevuto in Francia o negli Emirato Arabi. Per atmosfera, umidità, sensazioni, temperature, stato corporeo... va studiato il terroir, va studiata la cucina, l’impronta dello chef, quali sono le materie prime, qual è il risultato che si vuole raggiungere.Da lì si decide se si vuole sparare alto o se si cerca un effetto wow, un drink morbido che non distolga l’attenzione dal piatto. Insomma, sono tanti fattori da tener presente.

 

 

E se invece tu volessi consigliare a delle persone a casa qualche abbinamento? Ad esempio che cocktail o distillato potrebbe andare con del formaggio? E con del salmone? O ancora con una bistecca?

 

Tutto dipende da cosa vogliamo bere, ovvero se scegliamo un analcolico, un drink miscelato o un distillato. Prendiamo ad esempio il sakè che conferisce spesso ai piatti una grande sferzata, come un risotto bello ricco di parmigiano: sarà qualcosa di eccezionale, una sorpresa assoluta per chi lo prova. Ma può essere altrettanto emozionante un analcolico come un’acqua di pomodoro condita presentata in accompagnamento ad un piatto di carne. Ma non sottovalutate l’importanza di osare; ad esempio un Mezcal forte e deciso con note di tostatura e spiccata ossidazione può risultare straordinario con un piatto reputato delicato come il pesce. Provate per credere.

 

Di Indira Fassioni 

 

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