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"Hugo Cabret", favola per sognatori

Il nuovo film di Martin Scorsese, tratto da una suggestiva graphic novel, è un atto dʼamore per il cinema dedicato a chi non vuole smettere di credere nellʼimmaginazione. Anche se...

Se mai esiste una dimensione dove il sogno incontra la favola e vi trova anche la magia, l'illusione e l'immaginazione, allora è lì che vuole arrivare Martin Scorsese.

Arrivare o, più correttamente, tornare, perché quando si è bambini è più facile, quasi naturale, ritrovarsi in questa dimensione.

E il cinema, come una seduta di psicanalisi, può diventare lo strumento per una regressione all'infanzia, per riacciuffare quel mondo perduto che ognuno si porta dietro. Il regista italoamericano lo ha ammesso senza problemi: "Hugo Cabret", tratto da una graphic novel dell'americano Brian Selznick, è un film dove rivede se stesso, le solitudini di quando era bambino e la potenza della fantasia e del sogno per evadere dalla realtà. Fantasia e sogno le cui porte venivano aperte da una chiave chiamata cinema.

Hugo (il sorprendente Asa Butterfileld) è Scorsese ma può essere chiunque. E' un bambino di 12 anni che vive nella stazione di Montparnasse nella Parigi dei primi anni '30. Rimasto orfano, gli rimane l'unica cosa che l'amato padre (Jude Law) gli ha lasciato: un misterioso automa con una penna in mano che si convince debba consegnargli un messaggio scritto proprio dal padre. L'automa è da riparare, ma Hugo è bravo con i meccanismi da aggiustare, ha imparato dal genitore orologiaio. Ed è lui, il piccolo Hugo, che nell'immensa e caotica stazione parigina, di nascosto da tutti, cura la manutenzione di tutti gli orologi.

Per riparare l'automa, rubacchia congegni meccanici in un negozietto di giocattoli della stazione, ma viene beccato, e da quel momento la sua vita cambia. Il vecchio Papà Georges (Ben Kingsley), l'anonimo e rabbioso padrone del negozio che vuole punire Hugo per i suoi furti, è in realtà Georges Méliès, leggendaria figura realmente esistita del cinema degli albori, che ha lavorato con i fratelli Lumière e che è considerato uno dei pionieri della fantascienza sul grande schermo. L'immagine del razzo che colpisce l'occhio della Luna, che diventerà icona del surrealismo e che ha un suo preciso significato nel film, è una sua invenzione. Accompagnato da Isabelle, (Chloe Grace Moretz), nipote adottiva di papà Georges, Hugo scopre un'alternativa alla sua solitudine, quella di chi è rimasto solo al mondo, e fa riaffiorare un mondo perduto a chi proprio da quel mondo si sentiva tradito.

Il bambino e il vecchio, l'innocenza e la disillusione, la vita da guardare avanti e il guardare indietro la propria vita: Scorsese sviluppa le oltre due ore del film su questi due piani, tra Harold Lloyd e Jules Verne, Dickens e Andersen, ispettori cattivi e adorabili fioraie, deliziosi caffè e morbidi croissant. E, svelato il mistero dell'automa, anche la figura di Papà Georges non avrà più segreti, fino a un finale che celebrerà la magia e il sogno, parola più ricorrente dell'intero film.

Nominato a undici Oscar, "Hugo Cabret" è un moderno kolossal dove le spettacolari scenografie di Dante Ferretti sono arricchite dall'amato/odiato 3D, qui meno fastidioso del solito ma in alcuni momenti superfluo. 3D a parte, il dubbio è che il film di Scorsese, che vuole farci intendere il cinema come frutto di fantasia e artigianalità, a volte abbondi in tecnicismi che lo raffreddano. Tra le scene che scaldano di più, paradossalmente, ce n'é una d'altri tempi, la sequenza ripresa dalla celeberrima proiezione dei primi del '900 del treno che arriva in stazione e degli spettatori che si alzano impauriti e scappano via. Una pietra miliare della storia del cinema, che non a caso Scorsese ripropone per due volte nel film. Ecco, al di là dei suoi obiettivi, Scorsese ogni tanto si fa prendere la mano e cola troppo in alto, quasi dimenticando quella dirompente semplicità della scena del treno che forse è la vera magia del cinema.

Risulta più semplice e artigianale la graphic novel di Selznick da cui Hugo Cabret è tratto, pubblicata da Mondadori in una bella edizione. Qui non ci sono effetti speciali. C'è la storia, leggermente (ma non troppo) diversa da quella raccontata da Scorsese, c'è la manualità di un artista con la sua matita a carboncino, e c'è una poesia che stimola più l'immaginazione e la fantasia. Hugo Cabret su carta non è un fumetto e neanche un libro illustrato,  ma pagina dopo pagina sono le parole a illustrare le immagini. E questa sì, è vera magia.