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Iraq, 40 spose dell'Isis condannate a morte, dopo una sentenza "precipitosa"

Hanno avuto solo 10 minuti per difendersi e i loro Paesi dʼorigine le hanno abbandonate al proprio destino. Ora ci si chiede a chi saranno affidati i figli avuti da quei matrimoni

Iraq, 40 spose dell'Isis condannate a morte, dopo una sentenza
-afp

Dieci minuti per potersi difendere e poi la condanna a morte.

Un tribunale di Baghdad ha emesso una sentenza definita da molti giornali "precipitosa" per oltre 40 spose dell'Isis. Molte altre stanno già scontando l'ergastolo. Se da un lato è chiara la volontà di punire duramente i membri del califfato, dall'altro ci si chiede ad esempio a chi saranno affidati i figli, una volta che anche le madri saranno morte o in carcere per tutta la vita.

La difesa e la sentenza "Sono stata portata in Siria circa cinque anni fa con i miei genitori", racconta una donna, come riporta il Guardian. "Mi hanno fatto sposare un uomo turco. Era gentile con me, abbiamo avuto una figlia e siamo andati a viver in Iraq. Poi sono rimasta vedova ed è morto anche mio padre. Ora sono in prigione con mia madre e mia figlia. Voglio tornare a casa, anche se il mio Paese non è buono con me. Non indosserò l'hijab se ritornerò. L'Isis è stato buono con me, mi ha insegnato come dovevo coprirmi". Molte di loro sono arrivate perché fedeli al califfato e convinte che la jihad dovesse essere combattuta con le armi, altre lo sono diventate dopo. Ma nessuna rinnega i valori dell'Isis. In un Iraq che ha fretta di chiudere velocemente i conti con l'orrore dell'estremismo islamico, la condanna è praticamente già scritta: pena di morte per tutte loro, ergastolo per molte altre già passate per quell'aula.

I Paesi d'origine Le 40 accusate erano quasi tutte cittadine europee, o turche o di uno Stato dell'Asia. Paesi da cui sono scappate per unirsi al califfato islamico e che ora le hanno abbandonate al loro destino. Dalle loro ambasciate, non è arrivato nessuno per rappresentare i loro diritti.

La storia di Djamila Boutoutao Cittadina francese è ad esempio Djamila Boutoutao, 29 anni, che alle altre compagne sussurra: "Sto diventando matta in questo posto. Mi condanneranno a morte o all'ergastolo. Nessuno mi dice niente, ne l'ambasciata, né le guardie del carcere". Poi, quando tocca a lei, implora la Corte: "Non portatemi via mia figlia. Posso offrirvi dei soldi se contattate la mia famiglia. Per favore, fatemi uscire di qui". Arrivata in Iraq nel 2014 con il marito, Mohammed Nassereddine e due figli, Djamila Boutoutao si è scontrata presto con le conseguenze di quella decisione: nel giro di due anni è rimasta vedova e ha perso il figlio maschio, Abdullah.

I bambini Sono circa 40 mila i cosiddetti "foreign fighters" che da 110 Paesi del mondo sono arrivati in Siria o Iraq per combattere nel nome di Allah. Chi era già sposato si è portato la moglie con lui, altre donne sono arrivate in seguito. Più o meno mille di loro sono state arrestate dall'esercito iracheno. Ma non erano sole: 820 bambini sono nati dai quei matrimoni. Nuove vite che non sembrano essere una preoccupazione dei tribunali, occupati a chiudere velocemente i conti l'orrore dell'estremismo islamico. Per questa ragione il tempo che avevano le accusate per difendersi era solo 10 minuti e sempre per questo motivo nessuno ha spiegato a chi saranno affidati ora i loro figli.