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LʼItalia è sempre più "bio": secondo posto in Europa per ettari coltivati

Secondo il rapporto dellʼIspra la crescita dellʼagricoltura biologica rispetto al 2012 è stata del 12,8%: lo Stivale è quinto nel mondo

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-afp

L'Italia è al secondo posto in Europa e al quinto nel mondo per superficie coltivata in maniera "bio". Secondo un rapporto diramato dall'Ispra, sono circa 43,1 milioni gli ettari destinati a tecniche di agricoltura biologica a livello globale, di cui 1,3 milioni nello Stivale (il 12,8% in più rispetto al 2012). Con i suoi 17,3 milioni di ettari, è l'Australia a dominare la classifica della superficie biologica mondiale, seguita a ruota dall'Europa con circa 11,5 milioni di ettari, pari al 27% del totale.

Nell'Unione Europea i terreni coltivati con agricoltura biologica ammontano a 10,2 milioni di ettari, mentre il numero dei produttori è pari 330 mila unità. Il regolamento di produzione e commercio di prodotti biologici è presente in 82 Paesi del mondo.

Il primato italiano - Secondo i dati diramati dal Sistema d'informazione nazionale sull'agricoltura biologica (Sinab), il successo del biologico in terra italiana rappresenta un fenomeno sia in termini di superficie coltivata che per il numero di aziende "bio": in totale sono 46mila i produttori e oltre 52mila gli operatori attivi nel settore, per un fatturato complessivo che si aggira attorno ai 3,5 miliardi di euro. Ma la di là del lato economico, le tecniche di agricoltura biologica rappresentano una boccata d'ossigeno per l'ambiente in termini di biodiversità, di qualità delle acque e del suolo, di riduzione delle emissioni e dei consumi di risorse ed energia.

Una chance di salvezza per il pianeta - Nel rapporto Ispra si legge che nei terreni "bio", dove è proibito l'utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, è possibile rilevare un numero doppio di specie vegetali rispetto a quelli coltivati secondo tecniche intensive. Questo perché i suoli organici tendono a mantenere le proprietà biochimiche nel corso del tempo, contribuendo a incrementare la produttività e garantire la sicurezza alimentare a lungo termine. I terreni sottoposti a forme intensive di agricoltura sono invece soggetti a un calo della fertilità e della capacità produttiva. Le stime dicono che entro il 2050 quasi il 40% dei terreni coltivati in maniera intensiva sarà inutilizzabile.