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Hungry Hearts, Alba Rohrwacher: "Sono una mamma fatale"

In sala dal 15 gennaio il film di Saverio Costanzo, che esplora i lati oscuri dellʼessere genitori

Hungry Hearts, Saverio Costanzo, venezia 71
ufficio-stampa

Una coppia e il figlio appena nato.

Una famiglia deflagrata dal troppo amore e una mamma che trasforma l'istinto di protezione in veleno. In "

Hungry Hearts

", che uscirà al cinema il 15 gennaio,

Alba Rohrwacher

interpreta un personaggio che può disturbare lo spettatore: è una di quelle mamme fatali di cui le cronache raccontano, mamme di troppo amore che, dice a ragione l'attrice, "non bisogna giudicare ma provare a comprendere".

Hungry Hearts, Alba Rohrwacher: "Sono una mamma fatale"


Mina (Alba Rohrwacher) dà alla luce il figlio e comincia a guardare con sospetto le strade di Manhattan, così piene di gente e di possibili pericoli. Piano piano crea così nel minuscolo appartamento in cui abita un mondo perfetto per il suo neonato, soffocandolo sotto una campana di vetro con cui inconsapevolmente lo mette in serio pericolo. Il marito (Adam Driver) subisce tutto, fin quando comincia di nascosto a trovare occasioni per sottrarre il figlio a questo trattamento.

"Mina pensa di fare il bene di questo bambino e invece lo mette in pericolo. E' una mamma che all'interno della famiglia diventa il nemico. Difficile interpretarla? No, mi è bastato non giudicarla e immaginare per lei un cambiamento, una presa di consapevolezza" dice la Rohrwacher. E Saverio Costanzo, regista del film e suo compagno nella vita, aggiunge che "il vero demonio è l'ideologia che non ti fa ascoltare, ti chiude al mondo. Mina è una mamma che fatica a gestire la quantità di amore e si convince che il suo modo di agire è il migliore, senza ascoltare nessun altro".


Per la controparte maschile Costanzo ha voluto

Adam Driver

, che in America è un attore in rampa di lancio, e confesso che al loro primo incontro "ci siamo presentati come due emigranti con la valigia di cartone. Prima io, con Alba in disparte e poi lei, per finire alla fine ad abbracciarsi tutti".

Il libro da cui tutto parte ("Il bambino indaco" di Marco Franzoso) è ambientato in Italia, ma Costanzo ha trasferito la storia a New York, dando corpo così allo stato di "sradicamento della protagonista, in una città grande, aggressiva, in cui la solitudine si può far sentire diversamente che altrove e in cui ti scatta l'istinto di difesa".