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Nitro all'Home Festival: "Il rap è pensiero e voglia di esplorare nuovi mondi"

Il rapper vicentino è tra i protagonisti della terza giornata della manifestazione. Tgcom24 lo ha incontrato

Nitro all'Home Festival:
ufficio-stampa

All'Home Festival di Treviso nella terza giornata irrompe il rap.

E tra i principali protagonisti c'è Nitro, rapper vicentino autore di "No comment", uno dei lavori più significativi di questo 2018. "Sono estasiato di essere all'Home, perché è uno dei più bei festival che abbia mai visto - dice a Tgcom24 -. Sono un fan del progetto da sempre. E' come suonare a casa ma allo stesso tempo non lo è. Cosa serve sul palco? Energia e farsi capire da tutti".

In un panorama dominato dalla trap, Nitro (al secolo Nicola Albera) è tra gli alfieri di un rap classico, dove ancora contano le barre, il flow e i testi con un contenuto importante. "No comment" è entrato in classifica al primo posto e praticamente dalla sua uscita, a inizio gennaio, Nitro ne ha portato le canzoni in tour. Anche se il lavoro di scrittura per il rapper vicentino non è mai finito. "'No comment' è quello che io definisco un disco di transizione, una tappa verso qualcos'altro - spiega -. Infatti ha aperto altre porte e sono molto contento di come è andato. Sto già lavorando, non mi sono mai fermato e sono subito tornato in studio per lavorare a pezzi nuovi".

Cosa significa per te suonare in un festival, di fronte a persone che magari non ti conoscono?
Suonare davanti a un pubblico che non ti conosce o che magari arriva addirittura da altri Paesi è qualcosa che mi stimola tantissimo. Anche chi non conosce una parola della tue canzoni può essere colpito.

Quali sono gli elementi essenziali per un bel concerto rap?
Se parliamo un po' da addetti ai lavori, quello che non può mancare è... il dj! Perché oggi manca spesso e volentieri. Oppure viene sostituito da uno che schiaccia un bottone, e che non è un dj.

E da un punto di vista più generale?
Per un rapper è fondamentale che le persone che ti ascoltano capiscano ogni parola che dici. Quando i tuoi testi arrivano chiari e nitidi hai già ottenuto un bel risultato. E poi ci vuole verve: se non hai adrenalina si vede subito.

Hai fatto riferimento a chi oggi fa tutto con basi preregistrate. Cosa pensi del fenomeno trap?
Credo ci siano cose molto belle e cose molto brutte, come in ogni genere. Il fatto che ci siano cose molto brutte in giro non dipende dal genere in sé, ma dal fatto che oggi fare musica è più accessibile per tutti. Anche con un piccolo budget uno può farsi uno studietto in casa e fare musica senza avere particolari qualità.

Tu sei uno di quelli che dà ancora un peso importante ai testi. Cosa pensi di chi invece ha un atteggiamento più frivolo? 
Alcune cose mi piacciono, altre no. E' bene che ci sia io e ci siano anche loro, perché siamo diversi. Poi ci sono diversi momenti per la musica. Capisco che una persona che va in un locale a bere qualcosa e svagarsi non si metta ad ascoltare le mie cose. Se sei a una festa vuoi divertirti, se sei a casa da solo, preso male, ascolti qualcosa che ti faccia pensare.

A proposito di pensare, sei intervenuto in una polemica social per difendere Gemitaiz, preso di mira per avere espresso delle opinioni politiche.
Quanto sento quelli che dicono "canta e fai il tuo mestiere" mi incazzo da morire. A chi mi dice questo vorrei far notare che io non sono un cantante, io scrivo. Non sono pagato per cantare ma per pensare. Se posso dire quello che penso lo dirò e se te la prendi tanto quando toccano il tuo politico di riferimento sono problemi tuoi. Va bene discutere, essere in disaccordo, ma questo squadrismo mi disturba. 

Per te il rap deve essere veicolo di un pensiero? 
Non lo so. Dovrebbe esserlo, ma spesso mi chiedo se la gente capisca quello che dico. Mi trovo persone di Forza Nuova o di estrema destra che ascoltano la mia musica. E' vero che la musica è di tutti e deve trascendere il pensiero politico ma non si può dimenticare che la musica che faccio io ha un'origine afroamericana ed è stata spesso dalla parte dei deboli, senza che contasse il colore della pelle. Mi chiedo quindi come possa piacere quello che dico a gente che ha determinate idee. Sinceramente mi trovo spiazzato.

La trap ha un pubblico molto giovane. Tu hai un'ideale pubblico di riferimento?
In generale mi relaziono con quello che sono io, le persone che frequento e quello che vivo. Quindi parlo soprattutto a chi è nato tra l'87 e il ‘97. Però devo dire una cosa che può sembrare egoista ma è anche la più onesta: ho iniziato a fare musica e la faccio tutt'ora per stare bene, non per avere pubblico. Il pubblico lo ringrazio perché senza non potrei fare quello che faccio, ma il mio rapporto con la musica non ha intermediari.

Come ti sei avvicinato al rap? 
Non ho mai ascoltato rap fino ai 9/10 anni. I primi anni sono stati segnati dalla musica che ascoltavano i miei: mio padre era un appassionato di rock classico, come Led Zeppelin e Black Sabbath, mentre mia mamma era appassionata di soul e blues, da Janis Joplin ad Aretha Franklin.

Qual è stato il disco che ti ha cambiato la vita?
"Black Sunday" dei Cypress Hill. E' stata la prima volta che ho sentito un disco rap, e ho capito subito che era quello che volevo fare. 

Cosa ti ha affascinato?
Sentivo che nelle altre musiche era già stato fatto tutto, mentre il rap era una formula nuova, con incredibili possibilità di sviluppo, dove c'era tanto da fare e cambiare. Quindi ho deciso di far parte di quel movimento mentre era ancora in espansione.

E credi che abbia ancora questa forza innovativa oppure siamo in un momento di stasi?
Questo è un momento difficile. Ma solitamente la cosa è ciclica. In America negli ultimi due anni andava un tipo di musica molto frivola. Ora invece sta emergendo una generazione di ragazzini giovani che rappano tutti in maniera eccezionale su beat soul e funk, modernizzati. Ci sono un sacco di artisti nuovi che escono con robe classiche, come l'ultimo di A$ap Rocky, che sembra fatto negli anni 90. C'è ancora tanto da fare.